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RUBRICA

Scarpe grosse e cervello fine

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di Francesco Diana
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Tempo fa, con un servizio dal titolo “Evoluzione della civiltà rurale: dall’esaltazione del lavoro alla venerazione del Dio denaro”, avevamo affrontato il tema dei mutamenti in corso nel settore agricolo, non più finalizzato a soddisfare le esigenze alimentari primarie della popolazione mondiale in costante crescita, specie nelle aree più sottosviluppate del pianeta, bensì a garantire sempre maggiore redditività al capitale investito, con occhio di riguardo alle funzioni imprenditoriali.

Sino al recente passato, l’obiettivo primario dell’attività agricola era quello di soddisfare le esigenze alimentari della popolazione mondiale, nonostante ciò non assicurasse la medesima remunerazione del capitale investito in altri settori produttivi. Tale condizione, ha progressivamente indotto i possessori di capitale a ricercare forme d’investimento più remunerative, nonostante il danno che ciò avrebbe procurato al settore agricolo tradizionale, da sempre impegnato per il soddisfacimento del fabbisogno alimentare mondiale, nonostante la bassa remunerazione del capitale investito, che penalizzava sensibilmente gli addetti del settore. L’impari scontro-confronto fra le suddette realtà economiche, come prevedibile, ha inevitabilmente portato al tracollo dell’elemento più debole, sicuramente il settore agricolo, isolano in particolare, già di se penalizzato dai condizionamenti imposti dalle particolari condizioni pedologiche, dalla variabilità climatica propria della condizione insulare, oltre che dalla distanza dai mercati.

La situazione venutasi a creare in conseguenza dell’abbandono delle attività agricola per i motivi sopra citati, ha consentito alle nazioni economicamente più potenti di sopperire alle crescenti esigenze alimentari del mondo, attraverso la produzione di alimenti sintetici.

Se da un lato ciò appare come la logica conseguenza della citata crisi del settore agricolo, non più in grado di soddisfare le esigenze alimentari della popolazione mondiale in costante incremento, specie nelle aree meno progredite del pianeta, dall’altro non può che essere inteso come il viatico prescelto dagli Stati economicamente più potenti per consolidare il proprio dominio sulle aree più svantaggiate del pianeta.  Queste nazioni, come in altre occasioni in settori diversi, grazie alle enormi ricchezze di cui dispongono, hanno agito sotto la bandiera della lotta alla fame nel pianeta terra, svolgendo le ricerche necessarie per la produzione di alimenti artificiali da proporre, per primi, sul mercato mondiale.

Perseguire l’obiettivo di carattere economico finanziario, non rappresenta sempre un concetto universalmente valido in tutte le forme d’investimento, specie quando queste sono finalizzate alla sanatoria di problemi contingenti, quali quelli inerenti la fame nel mondo. Proporre il consumo di alimenti artificialmente prodotti con l’obiettivo di sostituire i tradizionali, quelli che l’agricoltura non è più in grado di produrre a causa della crisi del settore, se da un lato è presentato come una misura capace di arginare una esigenza contingente, dall’altro  non può che essere intesa come un redditizio sistema d’investimento da parte di gruppi finanziari, costantemente impegnati nell’individuazione di nuove e più redditizie forme di movimentazione dei propri capitali.

La realtà che preoccupa maggiormente è il disinteresse finora dimostrato dalla popolazione nei confronti dei problemi trattati, favorendo invece cattedratiche discussioni in merito a idealismi a sfondo politico che, nella sostanza, contribuiscono a distogliere l’attenzione del cittadino dai problemi reali che incidono sulla vita dello stesso. Molto spesso si sacrifica tempo e risorse per dibattere temi che in nessun modo porterebbero alla soluzione dei problemi che incidono sulla vita di tutti noi.

In questo frangente si evita di sottoporre all’attenzione del cittadino comune gli effetti che il consumo degli alimenti artificiali potrebbero ricadere sul consumatore mentre, al contrario, si disquisisce a fondo sull’opportunità o meno d’installare le pale eoliche, non tanto per i danni che queste potrebbero arrecare all’organismo umano che, come dimostrato da qualche tempo, arrecherebbero solo fastidi di natura acustica, ma per l’impatto visivo che la loro presenza offrirebbe. Nessuno ha mai fatto notare che l’impatto visivo determinato dall’abbandono dell’attività agricola è cosa ben più triste e seria di quattro pale eoliche, che tempi addietro noi stessi avevamo avvantaggiato, quale alternativa all’energia nucleare o ad altre forme alternative, come ad esempio l’energia solare. Il desolante scenario offerto dalle nostre campagne infonde tristezza soprattutto in quanti serbano l’immagine lussureggiante delle stesse, frutto del loro lavoro.

Già, i gruppi finanziari più importanti del pianeta hanno deciso che non è più economicamente conveniente coltivare la terra, poiché il ricavato è insufficiente per remunerare adeguatamente i capitali investiti. In alternativa, con giustificazioni condivisibili come quelli riguardanti l’arginamento del dilagare della fame nel mondo, ci propongono alimenti prodotti in laboratorio, tentando di convincerci sulla bontà degli stessi, poiché sarebbero del tutto simili a quelli naturali e avrebbero costi di produzione di gran lunga inferiori a quelli prodotti sinora dall’agricoltura. Peccato che non si parli ancora di prezzi al consumo! Anche chi s’infanga o si è infangato le scarpe chiodate lavorando la terra, ha già capito che il fine che si pongono i produttori di tali alimenti, non è tanto quello di assicurare il saldo alimentare per la popolazione mondiale in costante aumento, bensì quello di realizzare utili maggiori sui capitali investiti, ignorando o tacendo sugli effetti negativi che il consumo di tali alimenti potrebbe causare, nell’immediato o in prospettiva, all’organismo umano.

L’uomo della strada, stordito quotidianamente dai messaggi multimediali, si sta chiudendo a riccio convinto, più che mai, che l’alimentazione umana non può prescindere dai prodotti naturali provenienti dalla terra, ottenuti col lavoro dell’uomo. E’ convinto altresì che l’abbandono dell’attività agricola per ragioni suesposte, determinerà un calo considerevole del valore dei terreni. Gli attuali proprietari si troveranno nella condizione di doversene disfare, cedendoli proprio a quei gruppi finanziari che, attuando una ricomposizione fondiaria, si troveranno nella condizione di poter produrre a costi sensibilmente più bassi, per offrire poi i prodotti naturali della terra a un mercato di élite, conseguendo utili di entità ora impensabile.

Meditate gente! Meditate…

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