di Emanuele Corongiu
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Spesso si sente parlare di vincitori. Modelli a cui ambire, da cui prendere esempio. Ma non sempre questo è un bene. Certo, avere un modello aiuta ad avere una strada da seguire, ma cosa accade quando un incidente fa perdere quella strada, quando non si vince, o si vince per caso? In quel caso si entra nel mondo di quelli che non vincono, altrimenti nel mondo degli acclamati per un giorno. Qualche mese fa è uscito nelle librerie il libro “Underdog. Storie di sfavoriti e altre favole meravigliose” scritto da crampi sportivi con l’editore Battaglia, che racconta proprio di quando qualcuno, nello sport, perde la strada, ovvero non vince, oppure vince per caso, da sfavorito. A questo libro, tra gli altri, ha contribuito anche Mattia Musio, serrentese e giovane penna della redazione di Crampi Sportivi, col cui contributo si vuole dare un altro punto di vista, quello degli “altri”.
Il suo capitolo racconta la storia del tennista Goran Ivanišević. Perché proprio lui?
“La scelta, per tutti i capitoli, è stata quella di valorizzare delle figure atipiche e Ivanišević, in questo senso, era perfetto. Il croato vince il torneo di Wimbledon del 2001 alle soglie del ritiro: infortuni più o meno costanti, una classifica da numero 125 del mondo e un tabellone proibitivo. Goran è stato l’ultimo vincitore ‘impronosticabile’ di uno Slam nel circuito maschile; quindi, la scelta è stata piuttosto facile, soprattutto tenendo conto dell’argomento dell’antologia.”
Un segno del destino. Vincere da sfavoriti sembra la più classica delle favole che diventa realtà. Quale insegnamento si vuole dare raccontando queste storie?
“L’obiettivo, al momento della firma con l’editore, era quello di raccontare qualcosa di diverso. Le librerie sono sempre occupate dalle biografie dei grandi campioni e delle squadre che hanno demolito i record. Volevamo raccontare qualcosa di diverso, offrire un punto di vista differente, che è più o meno quello che Crampi Sportivi fa quotidianamente. Il libro è una sfida, da questo punto di vista, perché racconta sportivi normali che compiono ‘l’impresa eccezionale’, come cantava Dalla.”
Nel libro si parla degli “altri”, ovvero chi non vince. Nella nostra società la vittoria, lo stare sempre in cima sembra diventato ormai un culto, dimenticandosi che per ogni vincitore c’è qualcuno che non ha vinto, gli altri. Perché è importante non dimenticarsi di loro? Che effetto, se può averne, ha per la società guardare solo ai vincitori?
“La situazione è già questa. Il racconto che ci viene imposto, dai media come dalle istituzioni, è quello vincitore-centrico. Il problema principale, legato a questa dinamica, è il tono di questo racconto: siamo abituati a leggere (o sentire) queste storie con i vocaboli dello sport, o della guerra, anche quando si parla di giovanissimi super laureati, o imprenditori che accumulano ricchezza. In questo modo si polarizza il racconto in due fazioni contrapposte: il vincente protagonista (e idolatrato) e il perdente omesso. E il perdente, 99 volte su 100, è l’uomo comune: il perdente siamo noi. Per questo è importante parlare degli sconfitti, è importante parlare dei vincitori contro pronostico: perché sono le storie che parlano di noi. Per questo abbiamo scritto Underdog.”
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