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Furtei L'intervista

Stefano Floris, l’artista con l’Africa nel cuore

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Non soltanto nel Medio Campidano, ma anche in buona parte della Sardegna è un volto abbastanza noto. Lui si chiama Stefano Floris, abita a Furtei e non sbaglio sicuramente nel definirlo come “artista poliedrico”. Stefano infatti ha un ricco curriculum: è un bravo cantante (ex frontman dei Ratti Matti e attualmente impegnato nel gruppo Manifesto 69 che propone cover dei Negramaro ed Elisa), un buon intrattenitore e improvvisatore di spettacoli e varietà, un presentatore di successo (fra le tante esperienze addirittura più edizioni televisive prima su Sardegna Uno e poi su Videolina con il programma Ratti come Matti), un divertentissimo comico e soprattutto un grande amore, quello per l’Africa. Fare una sintesi di un personaggio così vario non è certo cosa facile; infatti, vista la sua enorme esperienza di vita, si correrebbe il “rischio” di scrivere un libro!
L’ho contattato soprattutto per una ragione: farmi raccontare le sue esperienze fatte nel continente africano e condividere con voi lettori gli input che hanno portato un ragazzo così semplice ed umile ad intraprendere un’attività certamente impegnativa, ma allo stesso tempo molto “remunerativa” dal punto di vista umano.
Abbiamo incontrato Stefano a casa sua; sono stato accolto molto gentilmente ed insieme abbiamo cominciato una chiaccherata molto intensa di cui ovviamente vi riassumerò i punti più salienti.
Di che cosa si occupa in Africa e in quali luoghi opera?
Grazie a te e al tuo giornale per darmi l’opportunità di parlare di una delle cose che mi sta più a cuore, ovvero l’Africa. Io sono un musicista di professione, lavoro principalmente da cantante, produttore e presentatore, ma per circa cinque mesi all’anno svolgo l’attività di guida turistica professionale in Africa, prevalentemente nella savana del Kenia e, seppur con minor frequenza, anche in Namibia e Sudafrica. Svolgo questo lavoro da free lance e quindi mi occupo di tutto l’iter organizzativo che va dal reclutamento dei gruppi che esprimono il proprio desiderio di visitare la savana keniota, all’organizzazione di tutto il percorso dal momento in cui questi arrivano con l’aereo sino alla messa a punto di tutti i dettagli per il soggiorno. Si tratta di gruppi che vanno da un minimo di quattro ad un massimo di sei persone. Pur avendo lavorato in passato alle dipendenze di un tour operator, posso dire che preferisco decisamente lavorare da free lance in quanto, nonostante le responsabilità siano maggiori, posso permettermi di organizzare le escursioni secondo quelli che sono i miei gusti e quelle che io ritengo essere le cose principali da vedere. Per svolgere quest’attività sono in costante collegamento con delle società del luogo, che mi permettono di appoggiarmi a loro per l’organizzazione del soggiorno dei gruppi.
Da Furtei all’Africa: cosa l’ha spinto ad intraprendere questa strada?
Mi ha spinto mio padre che purtroppo non c’è più da un po’ di tempo. Lui era un appassionato di documentari sull’Africa ed io, nonostante fossi ancora bambino, passavo molto tempo con lui a guardarli. Mi piacevano, ma data l’età, non potevo essere completamente assuefatto da quel tipo di programma; ma si sa, i bambini sono spugne nell’apprendimento e in quel periodo ho imparato tante di quelle cose sugli animali e gli ecosistemi africani che, una volta diventato grande, mi sono reso conto di aver memorizzato molto bene. Mio padre, da grande appassionato qual era, aveva un grande desiderio ovvero quello di poter visitare l’Africa. Purtroppo è andato via troppo presto e non ha potuto realizzare il suo sogno. É stato in quel momento che ho preso la decisione di partire; mi sentivo di doverglielo e l’ho fatto. Da lì è iniziata la mia avventura con il continente africano ed il Kenya in particolare.
Come si svolge la sua giornata tipo in Kenya?
Mi occupo di far visitare la savana keniota a gruppi di persone (alcuni decidono di farlo anche come viaggio di nozze) facendo loro scoprire la bellezza di quegli ecosistemi spiegando loro i segreti del luogo: dalle specie di animali lì presenti a tutte le particolarità di quei posti davvero incantevoli. La savana però non è un posto sicuro in ogni suo angolo. Ci possono essere infatti dei rischi enormi per gli esseri umani; pertanto è necessario avere esperienza in loco e soprattutto conoscere i luoghi più sicuri dove poter sostare riducendo a zero i possibili pericoli.
Il mal d’Africa è un sentimento comune per chi fa esperienze come la sua. E capitato anche a lei?
É capitato anche a me e non ho vergogna a raccontare che, al mio rientro in Sardegna dopo il primo viaggio, ho avuto un forte periodo di depressione durato circa quattro mesi. Durante questa crisi ho provato avversione per parecchie cose del nostro mondo così “infiocchettato”. Non riuscivo più ad accettare che anch’io potessi essere cresciuto in una realtà così piena di contraddizioni come la nostra. Per capirci posso fare un esempio: in Africa ho visto bambini sorridere pur non avendo nulla, ho visto cosa significa non aver acqua o non buttare nemmeno una briciola di pane. Per fare un banale esempio: io, prima di andare in Africa, ero fra quelli che facevano le docce con grossi sprechi d’acqua: questo tipo di cose ha fatto scaturire un conflitto interiore talmente grande che è stato necesssario del tempo prima dipoterlo superare.
Cosa ha dato e continua a dare quest’esperienza dal punto di vista umano?
Dopo questa esperienza ho imparato ad essere più parsimonioso, per esempio nell’utilizzo dell’acqua e del cibo, tuttavia non ho la presunzione di essere diventato una persona migliore. La nostra società infatti non la reputo cattiva, siamo cresciuti qui con la nostra cultura ed è normale che svolgiamo un certo tipo di vita. Ciò che però mi manca, ed è una cosa che ha contribuito non poco a generare quel mio mal d’Africa, è quella semplicità e spontaneità degli africani che può essere riassunta benisssimo con quei sorrisi di bambini che riescono ad essere felici pur non avendo gli agi, le protezioni mediche, i confort e in generale le cose che noi diamo come “scontate” e che invece lì non lo sono affatto.
A cosa è costretto a rinunciare?
Non rinuncio a nulla, perché mi piace ciò che faccio e se questo mi obbligasse ad avere delle rinunce forse avrei già smesso di fare la guida turistica. Però non posso nascondere che quando sono laggiù sento fortemente la mancanza dei miei amici e della mia ragazza, che attualmente sta studiando per diventare una guida turistica come me. Amo la mia isola e uno dei motivi che mi dà felicità al mio rientro è poter nuovamente frequentare i miei amici sardi.
Per fare questo tipo di esperienze occorre una grande preparazione di base. Che cosa dovrebbe fare un ragazzo che volesse intraprendere un percorso come il suo?
Occorre innanzitutto una buona conoscenza dell’inglese; io col tempo ho imparato anche la lingua del luogo che mi ha permesso di instaurare un rapporto molto più stretto con gli abitanti indigeni. Per diventare una guida safari professionale occorre però sostenere un corso di formazione tosto e oneroso allo stesso tempo. Io l’ho fatto con una società che all’epoca dei miei studi aveva dei valori e che oggi purtroppo ha perso. Esistono fortunatamente altre realtà; io consiglio la AFGA attraverso cui è possibile intraprendere un percorso teorico e pratico che si svolge in parte in Italia e in parte in Namibia. Serve tanta passione e un po’ di soldini sia per i costi del corso che per poter pagare le spese di vitto e alloggio. Superati gli esami si ottiene un attestato attraverso il quale si può iniziare a lavorare come faccio io in maniera del tutto autonoma o proporsi a qualche Tour Operator che svolge attività turistica in Africa.
Gli ultimi avvenimenti a Parigi hanno fatto il giro del mondo. In Africa però sono presenti numerosi focolai di guerra, alcuni molto cruenti. Cosa può dire a proposito?
Qualche giorno dopo gli avvenimenti di Parigi ho scritto queste parole sul mio profilo Facebook che ti leggo: «Io non metterò nessuna bandiera francese alle mie foto. Perché sarò impopolare ma, pur stringendomi forte ai vicini francesi, avrei come la sensazione di mancare di rispetto a tutti gli altri stati che di atti terroristici abominevoli ne vivono quotidianamente. Ma tutto tace. Perché magari non odorano di petrolio. Perché forse non producono uranio o diamanti. Perché probabilmente non fanno parte del nostro vicinato o non hanno lo stesso colore della nostra pelle. Trovo che sia assolutamente nobile parlarne e unirsi tutti nel cordoglio, non vorrei mi si fraintendesse, ma vi prego dosate il vostro dispiacere, distribuite la vostra amarezza e rabbia spostando gli occhi a 360 gradi. Eviteremo in questo modo di creare involontariamente morti di serie A e morti di serie B. Un abbraccio a tutti, soprattutto ai familiari delle persone uccise in questo altro ennesimo scempio». Credo che in questo post sia riassunto in poche parole il mio pensiero al riguardo. Per capire come gira la realtà, credo sia importante vedere le cose con i propri occhi; infatti soltanto vedendo capiamo come l’informazione sia spesso distante da certe tematiche che meriterebbero maggior spazio. Per chi è interessato, proprio per vedere come stanno certe cose, invito tutti coloro che lo desiderano a partecipare il 3 gennaio prossimo al teatro di Sanluri ad un’esposizione di diapositive dell’Africa che vi illustrerò. Sarà un’occasione per parlare, fra le tante cose, anche del fenomeno del bracconaggio che sta diventando in Kenya una vera e propria piaga. L’ingresso è libero, ma occorre prenotarsi subito perché i posti a disposizione sono appena 200, lo si può fare attraverso la mia pagina Facebook “Floris for Africa (Guida Safari Professionale)”.

Simone Muscas

Stefano Floris

 

RIPRODUZIONE RISERVATA
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