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ATTUALITÀ

Tra pazienza e impazienza: “Olidi su mundu po contu su!”

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di Sandro Renato Garau
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Qualcuno cantava: “L’estate sta finendo…” Effettivamente è così, ancora un mese e sarà autunno. L’umidità e le piogge di giugno hanno fatto il paio con il caldo opprimente di luglio. Agosto ha regalato qualche giornata di respiro con il maestrale, ma, come giusto ha continuato ad alimentare la sua fama di mese estivo. Chi non ha potuto raggiungere mete turistiche di vario tipo, case al mare o in montagna ha potuto godere delle manifestazioni che hanno accompagnato questa estate guspinese e dei paesi limitrofi. E se si deve dirla sino in fondo ce n’è state e ce ne sono di tutti i tipi e per tutti i gusti. Offerte dai comitati delle feste patronali, dalla Pro Loco, associazioni, oppure promosse dalle amministrazioni comunali. Il dopo pandemia è ripreso alla grande. Il desiderio di stare assieme, di uscire dopo anni di paura, di comunicare, di guardarsi nuovamente in faccia di potersi abbracciare e baciare liberamente hanno avuto, finalmente, libero sfogo. Ma, ci sono alcuni ma… che possono far riflettere. Parto da qualche aneddoto colto qua e là, legato, certo al clima, e all’ambiente, visto che la notte, nei giorni di molto caldo, chi non utilizza i condizionatori è costretto a tenere aperte finestre e porte, quando non sceglie di dormire in terrazzo o negli scantinati, ha tenuto sveglio più d’uno. Quali sono i ma…: alcuni, qualche giorno fa lamentavano che le campane delle chiese suonano a quasi tutte le ore; altri che il cane del vicino abbaia quando passa un gatto, e di gatti ce n’è molti; altri ancora che il gallo canta alle tre, alle quattro e anche alle cinque del mattino, che la gallina fa coccodè quando ha fatto l’uovo ed è soddisfatta. Forse anche gli uccelli che al mattino inizino a cantare sono fastidiosissimi. Per alcuni le tortore sono una maledizione. Molto peggiori le deiezioni dei cani lasciati liberi dai loro padroni sulle strade del paese, raccolte solo dai più sensibili, e ancor peggiori i rifiuti sparsi per indolenza, pare, alle periferie del paese. Per fortuna non si usa più il carro a buoi o il calesse trainato dai cavalli, quelli che vivevano nelle coorti delle case e si usavano per andare a lavoro. In compenso i rumori dei motori, a tutte le ore, fanno il paio con le esperienze passate, lasciando molto più inquinamento. Per chi abita in centro o nelle vicinanze, “semel in anno”, sa che si può assistere a varie manifestazioni. Deve mettere in conto che la festa, sacra o profana è un bene immateriale della comunità che ne ha bisogno come del lavoro e del riposo. Per questo un po’ di pazienza è necessaria per affrontare questo periodo con maggiore simpatia. Ai giovani sono stati offerti i loro spazi, ai bambini, anche loro, per fortuna, agli adulti e agli gli anziani pure. Ma qualcuno si ostina a non capire. Pare che capire gli altri stia diventando un problema. I nostri vecchi usavano due espressioni che stigmatizzano questa situazione: “Bai circaddi babbu a deus!” (Non puoi cercare il babbo di dio!), oppure: “Olidi su mundu po contu su!” (Vuole il mondo tutto per sé!). Frasi parte della nostra cultura che esprimo molto chiaramente quello che non deve essere, che invitano alla comprensione e alla tolleranza. Vivere assieme in una comunità vuole dire questo: cercare di capire i punti di vita degli altri e essere contenti quando gli altri lo sono.

 

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