di Sandro Renato Garau
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La parola “transumanza”, per alcuni è legata alla poesia “I Pastori” di Gabriele D’Annunzio, per altri è quella pratica millenaria di spostare le greggi da un una zona all’altra per assicurare al bestiame pascoli sicuri e ricchi a seconda del periodo dell’anno.
Settembre, andiamo. È tempo di migrare.
Ora in terra d’Abruzzi i miei pastori
lascian gli stazzi e vanno verso il mare:
scendono all’Adriatico selvaggio
che verde è come i pascoli dei monti.
Han bevuto profondamente ai fonti
alpestri, che sapor d’acqua natia
rimanga ne’ cuori esuli a conforto,
che lungo illuda la lor sete in via.
Rinnovato hanno verga d’avellano.
E vanno pel tratturo antico al piano,
quasi per un erbal fiume silente,
su le vestigia degli antichi padri.
O voce di colui che primamente
conosce il tremolar della marina!
Ora lungh’esso il litoral cammina
La greggia. Senza mutamento è l’aria.
Il sole imbionda sì la viva lana
che quasi dalla sabbia non divaria.
Isciacquio, calpestio, dolci romori.
Ah perché non son io cò miei pastori?
Per molti allevatori, anche a Guspini, la “transumanza” è stata vita, e affonda le sue radici nella notte dei tempi. Scavando nella storia di molte famiglie guspinesi ci si accorge che i nostri avi, prima di diventare stanziali, sono stati pastori che praticavano la “transumanza”. Essi spostavano le greggi, solitamente dai monti del nuorese verso i pascoli delle pianure o vicini al mare. Il trasferimento iniziava alla fine dell’estate, quando le ore di luce delle giornate si riducevano anticipando l’inverno, il ritorno verso i monti iniziava a metà maggio. Il fenomeno è talmente importante che l’11 dicembre 2019 la pratica di migrare le greggi è stata iscritta nella Lista Rappresentativa del Patrimonio culturale immateriale dell’Unesco.
Ciononostante, qualcun altro attribuisce alla parola “transumanza” un altro significato, confondendola con quella pratica a cui sono costretti molti disperati che dai paesi africani fuggono da carestie, guerre e fame. Lo fanno su dei barconi, avventurandosi in mare aperto, rischiando la vita, nel tentativo di raggiungere luoghi sicuri, soprattutto l’Europa, che diano loro la possibilità di costruirsi una vita dignitosa.
Ciò che sorprende è la leggerezza, o meglio la superficialità, con la quale si usano certi termini per indicare fenomeni che affondano le radici nella cultura di molte famiglie di pastori nel Lazio, Campania, Molise, Abruzzo, Puglia, Sardegna e al Nord tra Italia e Austria nell’Alto Adige, in Lombardia, Valle d’Aosta, e Veneto.
Il termine, nella lingua italiana, è quindi attribuito allo spostamento di animali, soprattutto capi ovini. Ci sarebbe da ironizzare… e molto sulle parole che indicano la transumanza come fenomeno riguardante i disperati che arrivano dai paesi africani. Così l’ha definita in maniera stravagante il giornalista di Mediaset Andrea Giambruno, nella sua trasmissione “Diario del giorno prima” parlando di Berlusconi: “Aveva già capito tutto della transumanza, se così possiamo definirla, dall’Africa verso l’Europa…”. Non resta che sorridere amaramente per certe affermazioni. D’altra parte l’antropologia e l’etnologia da molti anni studiano il fenomeno perché legato alla vita dell’uomo e delle sue comunità. Ora anche la politica pare si sia accorta dell’importanza della “transumanza”. Infatti, il 20 giugno 2023 a Roma, nel Palazzo del Quirinale, è stato firmato dai rappresentanti del governo, l’Università degli Studi del Molise, l’Accademia dei Georgofili e l’Associazione Italiana Allevatori un protocollo d’intesa finalizzato all’istituzione della “Giornata nazionale della transumanza” per sottolineare “l’opportunità che questa è in grado di offrire allo sviluppo territoriale in tutte le sue peculiarità”. Il Governo era rappresentato dal Ministro dell’Agricoltura, della Sovranità Alimentare e delle Foreste, Francesco Lollobrigida.
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