di Giovanni Contu
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C’è un anche un po’ di Sardegna nell’ultimo impegno letterario dello scrittore di Pavana, recentemente pubblicato dalla Giunti. Fra momenti di vita quotidiana, piccole e più spesso grandi fatiche, feste e tragedie, degustazioni e libagioni in un contesto bucolico, l’autore trova occasione per registrare l’apprezzamento di alcune prelibatezze isolane e ricordi di viaggio lungo la rotta che procede dall’Appennino tosco emiliano verso i boschi della nostra Isola, particolarmente trafficata durante i primi anni del secolo, per reperire il preziosissimo carbone. “Noi si andava in Sardegna … e ora sono i sardi a venire qui da noi”
Il viaggio dei “continentali”, dettato in origine da una necessità di sussistenza, è una fra le tante immagini che in questo libro prende forma lasciandoci un quadro struggente che col tempo, nella tratta inversa, di noi isolani verso l’Etruria, diventa occasione di approfondimento gastronomico. In una cornice di vitigni pregiati e autoctono, querce secolari, castagneti e stradine di montagna, “porceddo” e formaggi stagionati varcano le coste tirreniche per arricchire la mensa in un convivio di immagine omerica trasposto “in odor di Toscana”.
Roba d’altri tempi, proprio come i tre racconti che compongono questo trittico per un volume di memorie, a metà strada fra sentimento e divertimento che retrospettivamente rievocano le antiche amicizie; quelle che non svaniscono nemmeno dopo la morte.
Con uno stile a tratti parlato e pochissime concessioni dialettali, le parole scritte descrivono ambienti tipici che non esistono più, tanto nella realtà quanto nella lingua e nelle forme di pensiero ormai trasformate radicalmente, e divenute quasi irriconoscibili.
Ma una tavola imbandita, con i suoi rituali preparatori e propiziatori, costituisce un classico perché sebbene anche se solo per qualche ora, pranzo o cena che sia, con o senza dopocena, soddisfa l’agognato desiderio di sospendere l’inarrestabile fluire del tempo che passa.
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