Mentre si parla ancora di salario minimo con i sindacati che protestano in testa ai loro iscritti, non si accenna minimamente ad alcuna contropartita. Diritti e non doveri, ovverossia quella competenza minima richiesta per potersi inserire in questo mercato del lavoro che, seppure stagionale e a termine, ha garantito negli anni a tanti giovani, solidità economica e una crescita sana, ricca di valori e competenze.
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di Federico Barbarossa
O indeterminato o nulla. Week-end libero e la sera a casa. Sembra essere proprio questa la tendenza dei pseudo lavoratori del turismo che, se lontani da casa, rifiutano ogni proposta di lavoro per la stagione estiva. Grazie alla spinta riformista del post Covid e alle diverse soluzioni assistenziali alternative, il settore è in piena sofferenza tanto che non si riesce più ad avere il personale minimo necessario per affrontare l’imminente stagione estiva. Ad aggravare questa situazione ci si è messo pure il salario minimo che i presunti richiedenti del lavoro stagionale reclamano a gran voce. Diritto sacrosanto che il governo dovrebbe garantire ai lavoratori, impedendo ai datori di lavoro, di perpetrare il loro sfruttamento quotidiano. Intanto, però, aumenta la disoccupazione, soprattutto quella giovanile mentre chi non è ancora in odore di pensione, si sente spesso rifiutato. Un diniego espresso in maniera inequivocabile a quelle risorse di scarso livello professionale che nel loro percorso lavorativo, non hanno investito alcunché campando alla giornata o restando comodamente vicino a casa. A questi oggi si aggiungono quei giovani cresciuti nella bambagia e poco propensi al sacrificio, alla conquista e ad affrontare i diversi stadi della meritocrazia. Sono quelli, per intenderci che dopo essere stati contattati, non si presentano ai colloqui di lavoro, mentono sul loro stato di formazione, scappano dalle interviste on-line e accampano diritti impensabili per il settore come week-end liberi e orari a piacimento.
I più fortunati, invece, accettano le condizioni proposte, si presentano al lavoro, cominciano a lavorare e poi scappano inesorabilmente quando messi alla prova sulle loro, falsamente dichiarate competenze. Intanto, il mercato arranca, e sebbene talvolta intenzionato anche ad accontentarsi, non trova quelle risorse necessarie ad affrontare l’ennesima stagione di grandi presenze e grandi numeri. Di fatto non si trovano lavoratori per l’imminente stagione estiva e, addirittura, diverse strutture hanno chiuso e altre stanno pensando seriamente di farlo. E mentre si parla ancora di salario minimo con i sindacati che protestano in testa ai loro iscritti, non si accenna minimamente ad alcuna contropartita. Diritti e non doveri, ovverossia quella competenza minima richiesta per potersi inserire in questo mercato del lavoro che, seppure stagionale e a termine, ha garantito negli anni a tanti giovani, solidità economica e una crescita sana, ricca di valori e competenze. Sappiate che ben pochi di questi ragazzi hanno mai rincorso il “posto fisso” quello a tempo indeterminato per intenderci, riservato a chi non ha mai voluto mettersi in gioco, preferendo restare vicino a casa, andando a lavorare in strutture cittadine o ancor peggio, nei piccoli centri di residenza, privi di alcuna occasione di competitività, e, pertanto di crescita e di miglioramento professionale. Ciò a ribadire che le competenze sono a totale appannaggio delle giovani leve quando preparate ad affrontare il mondo del lavoro.
La vecchia convinzione che vedeva solo le generazioni mature, ricche d’esperienza, occupare posizioni di rilievo nel settore, oggi e per fortuna, è stata soverchiata, dando spazio alla conoscenza scolastica e alle abilità personali, che hanno contribuito in maniera determinante al maggiore sviluppo della materia in oggetto. Perciò smettiamola di dire che a fare la differenza sia solo l’esperienza. Non è più così, perché a farla sono l’applicazione allo studio, la conoscenza, la pratica e l’applicazione seria che, unite al viaggiare e alla scoperta, consentiranno di mettersi in gioco e di proporsi con coraggio al superamento di ogni ostacolo. Lo hanno fatto le generazioni appena andate in pensione che, con una cultura di base ma professionalmente valida, sono state preparate ad inserirsi in ogni settore del turismo. A quei tempi il must era: lavorare le due stagioni, estiva ed invernale, andare all’estero in età giovanile e tornare, poi, a casa per mettere a frutto quanto imparato. Nessuno si è mai chiesto perché non ci fosse il posto fisso, anzi, questo avrebbe seriamente ostacolato la loro crescita professionale, suddivisa spesso, tra il lavoro in Sardegna e all’estero. Competenza questa, maturata in giro per il mondo, dove queste generazioni di professionisti d’albergo sono andate ad apprendere prima, e a far conoscere poi, ogni dettaglio e ogni sfumatura delle loro professioni. Sono quei Direttori d’albergo, i Concierge, i Receptionist, i Maitre d’Hotel, i Barmen, i Sommelier e gli Chef di cucina che negli anni hanno costituito una vera categoria di Professionisti dell’Accoglienza Turistica Isolana. Professionisti che ha dato lustro alle più belle e più conosciute località turistiche isolane, dalla Costa Smeralda, a Villasimius, Santa Margherita di Pula, Santa Teresa di Gallura dove sono stati accolti centinaia di milioni di turisti, felici di ritornare ogni anno nella nostra terra. Una generazione di maestri che oggi, è ancora sulla breccia impreziosendo con la sua presenza negli Istituti Alberghieri, la crescita formativa dei futuri addetti all’Accoglienza Turistica Isolana. Un lavoro certosino, degno delle migliori intenzioni che la scuola non dovrebbe sottovalutare, soprattutto, in considerazione delle scarse risorse in suo possesso e della ancor più scarsa conoscenza della materia, nonostante abbia questa raggiunto negli anni, la percentuale del 19% del Prodotto Interno Lordo nazionale.
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