
Tzia Antonica Racis era nata a Guspini nel 1883. Si era sposata ancora giovane con Silvio Fanari, studente in legge, impiegato del Comune che durante la Grande Guerra era caduto a Caporetto nel tragico ottobre del 1917. La vedova aveva trentaquattro anni e quattro figli, l’ultimo dei quali nato solo tre mesi prima della morte del padre. Senza lavoro e priva di un’istruzione poteva contare esclusivamente sulle sue forze. Donna coraggiosa e tenace non si arrendeva mai. Lavorava la propria campagna fino a quando, nella prima metà degli anni Venti, arrivò la tabaccheria: una concessione del governo alla vedova di guerra. Questo le consentì una maggiore sicurezza economica ma non le impedì di continuare ad occuparsi del lavoro in campagna. Come tanti, partiva alle prime luci dell’alba a prendere legna, lavorare la vigna, raccogliere mandorle o olive.
Generosa e altruista non ammetteva ingiustizie. Spesso vedeva passare nella piazza principale davanti alla sua tabaccheria vagabondi, ragazzi orfani, malati, mendicanti: i poveri del paese, affamati e senza casa. Tzia Antonica cominciò così la sua missione: procurava cibo, coperte, vestiario raccogliendoli fra le persone generose e sottraendo alla sua famiglia una parte delle già magre risorse.
Solo dopo molto tempo era riuscita ad alloggiare i poveri in una casa vicina alla propria abitazione. I primi furono Esterina e sua sorella Antonietta, Egidio, portato lì ancora bambino, Ameliedda, anche lei all’epoca molto giovane e tuttora ospite della Casa Anziani, Angèlicu, Antonichèddu, Mariangiula e tanti altri…Is Poburus.
La sistemazione era comunque precaria e bisognava sempre che tzia Antonica si servisse della sua abitazione come centro operativo, aiutata da Esterina e Antonietta che provvedevano alle quotidiane incombenze nell’alloggio e organizzavano la vita al suo interno. Era sostenuta da una grande fede che la portava sempre dalla parte degli “ultimi” in una società dove il consumismo non esisteva e si lottava per la sopravvivenza. Aveva trovato la serenità di chi sente di aver fatto le cose giuste per un dovere sociale oltre che cristiano.

Intorno agli inizi degli anni Cinquanta venne offerto per ospitare i poveri un altro edificio in via Garibaldi, sito dove attualmente si trova l’oratorio San Domenico Savio, che fu la prima sede ufficiale di quello che allora veniva chiamato Su Recoveru. Il numero degli ospiti cresceva, tzia Antonica continuava a prestare la sua opera e coordinare l’attività della casa, ma occorreva una presenza interna per provvedere in maniera più accurata a tutti i bisogni. La gestione passò quindi nelle mani dell’amministrazione comunale, si provvide a costruire un apposito edificio dove all’inizio degli anni Sessanta sorse ufficialmente la Casa di Riposo e la cura dei suoi ospiti fu affidata alle suore Vincenziane.
Tzia Antonica si ritirò così dalla sua attività di volontaria, rimanendo però sempre in ottimi rapporti con i suoi “poveri”. Andava a trovarli non appena poteva, portava conforto: quella era l’altra parte della sua famiglia. Stette dietro il banco della tabaccheria fin oltre gli 80 anni ed è morta nel 1981 dopo averne compiuti 98.
Ormai a Guspini pochi la ricordano, per questo ho chiesto al direttore della Gazzetta del Medio Campidano di poter pubblicare questo articolo: affinchè le nuove generazioni conoscano questo nobile esempio di vita. E proprio per rendere visibile questa figura ormai scomparsa sarebbe stato doveroso da parte delle amministrazioni succedutesi in questi anni, se non un ringraziamento, almeno un segnale che ricordasse colei che ha messo la prima pietra all’attuale Casa di riposo per anziani. Nel passato qualche amministratore propose di affiggere una targa-ricordo nella comunità alloggio Fondazione Guspini per la vita ma sono state voci inascoltate. Perciò, chi con spirito di sacrificio e rinuncia ha svolto un servizio di grande valore sociale che dà lustro al paese cadrà nel dimenticatoio. Nell’odierna società frenetica, consumistica e caratterizzata da un esasperato individualismo non sempre si conferisce il giusto valore a chi spende interamente la propria vita per gli altri in cambio di niente.
Livio Antonio Usai
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