banner1_lagazzetta
ffserci
striscione_banner
ALP
previous arrow
next arrow
ATTUALITÀ

Un giorno: il 12 ottobre

Condividici...

di Sandro Renato Garau
______________________________________

 

Dire che il 12 ottobre sia un giorno speciale può essere una grande verità oppure una sciocchezza. La scoperta dell’America è datata 12 ottobre 1489.

Povero Cristoforo Colombo era convinto di essere arrivato in Cina. Le bussole funzionavano ora si ora no, e non tutti ne conoscevano l’uso o la possedevano. Colombo ha avuto la stessa sorte di qualche altro esploratore: la bussola gli era stata utile per perdersi.

Ben più hanno potuto le correnti marine e le nuvole che coprivano le stelle.

È il 12 ottobre del 1822 quando il Portogallo perde una delle colonie più importanti dell’America Latina. Chissà se da allora ha inizio il declino del regno. Un Don Pedro, si chiamano in molti così in Brasile, viene proclamato imperatore.

Sempre il 12 ottobre, ma del 1946, fu adottato l’inno di Mameli quale canto di vittoria per la neonata Repubblica Italiano. Forse c’è stata un po’ di confusione. Richiamare i fasti dell’antica Roma, in periodo Repubblicano non era più da regime. Ma c’era vicino!

Data importante anche perché le assemblee delle Nazioni Unite erano vivaci. Quando una nazione non poteva sparare …minacciava. Doveva essere uno spettacolo niente male assistere alle diatribe, sollazzi e trovate di russi, americani, asiatici, brasiliani, africani, europei e altri.

E pensare che, per incapacità a comprendere un diversa posizione, si è arrivati a chiedere di essere ascoltati nel modo escogitato da Nikita Sergeevič Chruščёv. Il premier russo si toglie una scarpa e picchia sul tavolo dell’assemblea generale. Era il suo modo di protestare, con forza, naturalmente, contro chi non condivide la politica dell’Unione Sovietica nei confronti dell’Europa orientale.

Era il 12 ottobre 1960 e Occidente e Oriente dividevano equamente il freddo di una guerra che si combatteva altrove.

Ciò che era successo, cinque anni prima, il 12 ottobre del 1955, in una casa padronale, in Via Garibaldi 55, nella Guspini vecchia, metteva in secondo piano i fatti storici fin qui narrati.

La nascita, avvenuta in una stanza al primo piano di una casa comoda e accogliente. Naturalmente con il pavimento in legno e un letto matrimoniale con un materasso in lana. Lana prodotta dalle pecore di nonno Giovanni, allevatore e agricoltore. Come per tutti i piccoli proprietari, del resto, lana, carne e grano non mancavano in nessuna casa padronale.

Molto lavoro, pochi soldi, molta dignità, ma la fame, anche in tempo di guerra, era stata lontana da quella casa.

I racconti, non tutti concordi, narrano di una notte insonne.

“Su pippiu”. Così lo chiamano a Guspini. Dopo i primi calci per cambiare posizione e acquisire quella giusta, sembrava non voler sentire ragioni di apparire. Si nascondeva tra cordone ombelicale e placenta. Aveva ancora voglia di nuotare. Non voleva vedere in faccia nessuno, anche perché era notte.

Sarebbe stata la prima notte all’aperto della sua vita.

Nonna Mariangela madre di figlie femmine non poteva sapere come si faceva con i maschi.

Ma poi sarebbe stato maschio? Si accettavano scommesse.

Babbo Pietro e nonno Giovanni lo speravano.

A dire il vero anche nonno Peppino lo voleva maschio.

Nonna Alina, la scanzonata, sembrava disincantata.

Chi si intendeva di gravidanze aveva visto la pancia a punta e scommetteva su un maschio, bello e grande.

La levatrice dava i suoi ordini perentori mentre palpeggiava la pancia della donna cercando di fare assumere al pargolo la posizione a pesce che lo avrebbe dovuto aiutare a superare l’ultima strettoia che lo separava da un’aria mai respirata sino ad allora e della quale forse non sentiva neanche bisogno.

La solita levatrice chiedeva acqua calda, panni in lino puliti. Si muoveva come una che conosce molto bene il mestiere.

Il sudore iniziava a imperlare il volto della puerpera. Il dolore del travaglio cresceva senza tregua.

Le mani abili della levatrice che aveva fatto nascere generazioni di guspinsi da non ricordare il numero, si muoveva con sicurezza. Palpeggiava, stringeva, incoraggiava, chiedeva acqua e con sguardo grave, con qualche smorfia di troppo sulle labbra e con la fronte più corrugata che liscia, in silenzio, scrutava l’orifizio cercando di cogliere ogni piccolo cambiamento. Preoccupata si siede sul letto e con tutte le forze delle quali dispone appoggia l’avanbraccio sulla pancia della puerpera.

Chiede un ultimo sforzo e l’attenzione di tutti i presenti, compresa nonna Mariangela.

Ops!! appare il corpicino cianotico del pupo. Un respiro profondo e la testa di Caterina si abbatte sulla federa bagnata.

Il piccolo non piange. Ci vuole tutta l’arte della levatrice per restituire il respiro a “su pippiu”. Una, due, tre sculacciatine a quel sedere ancora cianotico. Il vagito riempie la stanza. Il cordone ombelicale spezzato. Il nodo sull’ombelico è stato fatto. Lavato e ripulito pare un’altra cosa.

I bambini quando nascono sono sempre bruttini.

Avvolto in panni lindi e puliti viene appoggiato su Caterina che lo osserva incredula. Ha generato una vita. Tutto qui? Facile no!!!

“Su pippiu” inizia la sua esplorazione sino ad arrivare al suo obiettivo: il seno.

Tutto è risistemato e dalla stanza vengono asportati i catini e i panni da lavare.

Sono le sei del mattino quando Pietro è ammesso nel suo talamo nuziale che oggi accoglie una nuova vita.

Piange, come tutte le volte che l’emozione è forte. Un figlio, maschio per giunta, non è cosa da tutti e di tutti i giorni.

Si avvicina a Caterina, la bacia a fior di labbra e le sussurra che è stata bravissima.

Sandro è bellissimo, così si chiamerà.

Alina abbraccia il figlio con orgoglio.

Nonno Giovanni è rimasto al piano terra, assieme al resto della famiglia ha passato tutta la notte a sgranare pannocchie di granoturco e a pregare.

In certe famiglie le attese sono scandite dalle Ave Maria del rosario e dal lavoro.

Rispettosissimo ha lasciato agli altri la gioia di vedere il primo nipote.

Lui era così, discreto, sornione, dritto… si direbbe.

Sapeva scegliere i momenti di gioia e soffrire in silenzio per il dolore.

Aveva fatto la prima guerra mondiale, ne aveva viste e sentite più d’una.

Ma la sua era una famiglia di agricoltori.

Non si può perdere tempo.

È il granturco prodotto da un piccolo appezzamento di terreno che si trova a Mutteganna, sulla strada per San Nicolò d’Arcidano, è sempre stato d’aiuto all’economia famigliare.

Pietro esce nel cortiletto dove si trova il pozzo, pesca un secchio d’acqua, rinfresca le idee e toglie dal suo viso la preoccupazione e la fatica della notte, si sente fortissimo e riposatissimo, è padre di un bambino.

Ha ringraziato Dio più di una volta, anche quando pareva che Sandro non ce l’avrebbe fatta.

Deve andare da don Salvatore, parroco della chiesa di san Nicolò. Deve dirgli della nascita e del nome che darà a “su pippiu”.

Uno sguardo, una carezza a Caterina e al bimbo che ora, stanco e soddisfatto del latte materno, dorme.

Don Salvatore sta distribuendo la comunione, la messa del mattino sta per finire. Il parroco non fa in tempo a dare la benedizione finale che le donne presenti circondano Pietro per chiedergli come fosse andata.

Tutte sanno anche se nessuno lo aveva comunicato loro. Intuito femminile? Logica deduttiva? Semplice conoscenza delle cose della vita? Molto probabile.

Chiedono di Caterina e de “su pippiu”.

Pietro è emozionato per tanto affetto.

Le anziane lo abbracciano e baciano come se fosse loro figlio. Le giovani lo invidiano un po’. Sono le sue tzie, quelle che ogni domenica lo ascoltano quando parla alla riunione di Azione Cattolica, associazione della quale è presidente.

Don Salvatore gli viene incontro sorridente, uscendo dalla sacrestia, sulla navata sinistra. Lo abbraccia e gli fa gli auguri. Il sacrista fa lo stesso. Pietro gli racconta la nottata, il prete lo ascolta attentamente. Felice per la vita. Gli chiede quale nome avrebbe voluto dare a “su pippiu”.

Sentita la risposta la reazione è immediata:

“Santi di nome Sandro la chiesa non ne ha neanche uno. Poi mi hai detto che è come se fosse rinato, perché quando è nato sembrava morto”.

Pietro non sa cosa rispondere, è confuso, a tutto aveva pensato, a questo no.

Che la storia del nome avesse una così grande importanza… proprio no, impensabile.

Il prelato prende il libro del martirologio e inizia sfogliare, cita molti nomi di santi, infine chiede se Renato, come secondo nome, gli sembra moderno, se poteva andare bene.

Pietro lo guarda, crede di aver capito. Sandro Renato non era male.

Don Salvatore fa sfoggio delle sue conoscenze.

“San Mauriglio, nel V secolo, vescovo di Angers, in Francia, fu chiamato a battezzare un bambino moribondo. Arrivò troppo tardi e il piccolo morì. Sconvolto e assalito da un grande senso di colpa, buttò via le chiavi della città e s’imbarca per l’Inghilterra. Le chiavi vengono ritrovate nel ventre di un grande pesce e il vescovo viene richiamato ad Angers. Rientrato si reca a pregare sulla tomba del piccolo che miracolosamente resuscita. Il vescovo lo battezzò chiamandolo René, Renato, ovvero rinato.

Renato era anche il Vescovo dell’Arcidiocesi di Sorrento-Castellammare di Stabia (dal 424 al 6 ottobre 450); venerato come santo”.

È un nome antichissimo, e doveva essere anche comune.

RIPRODUZIONE RISERVATA
Condividici...

ecco qualche nostra proposta….

IMG-20231027-WA0002
IMG-20231007-WA0003-1024x623
IMG-20231104-WA0035-1024x623
previous arrow
next arrow
 

CLICCA sotto PER LEGGERE

RADIO STUDIO 2000

Su questo sito Web utilizziamo strumenti di prima o di terzi che memorizzano piccoli file (cookie) sul dispositivo. I cookie vengono normalmente utilizzati per consentire al sito di funzionare correttamente (cookie tecnici), per generare report di navigazione (cookie statistici) e per pubblicizzare adeguatamente i nostri servizi / prodotti (cookie di profilazione). Possiamo utilizzare direttamente i cookie tecnici, ma hai il diritto di scegliere se abilitare o meno i cookie statistici e di profilazione. Abilitando questi cookie, ci aiuti a offrirti un’esperienza migliore. Cookie policy