di Gianpiero Mura
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Ho letto con molta attenzione l’articolo sulle statuine votive di Neapolis a firma di Lorenzo Argiolas, pubblicato sulla Gazzetta in data 25 ottobre 2022.
Da ciò che si legge, le statuette ritrovate sono molte e chissà quante ancora ce ne sono sepolte nella zona. La prima cosa che viene da pensare è che a Neapolis, oltre al porto e alla città che si sviluppò attorno ad esso, dovesse trovarsi anche un santuario molto importante: forse, addirittura, il Sardopatoris Fanum. Va ricordato, al proposito, che il Sardus Pater, oltre ad essere protettore dei cacciatori e dei naviganti, era anche una divinità guaritrice: ciò spiegherebbe il grande numero di statuette dei “Devoti e sofferenti” ritrovate. Se così fosse, il santuario non doveva pertanto trovarsi né a Capo Frasca, come indicato dagli studiosi dal Seicento in poi, né a Fluminimaggiore, dove tuttavia sono state rinvenute le vestigia di un tempio dedicato a tale divinità. A tal proposito sarebbe da tenere in considerazione anche quanto scrisse l’eminente storico Raimondo Carta Raspi parlando del toponimo Nabui (1): “Questo nome è corruzione sarda, come pensano i linguisti, di Neapolis? Ne dubitiamo”. E più avanti prosegue: “Se la nostra ipotesi è sulla buona strada, possiamo supporre che Nabu/ui sia o lo stesso Sardus (né può sorprendere fra i tanti linguaggi originari e assimilati e corrotti dei Shardana) o avere il significato di Pater, Dio, o della religiosità del luogo ove sorse la città”.
Purtroppo le informazioni che abbiamo al riguardo sono poche e talvolta incongruenti, se pensiamo all’Itinerario Antonino di Tolomeo. D’altro canto le correzioni apportate alla seconda edizione tolemaica non convincono, poiché saremmo portati a pensare che il primo testo sia pieno di inesattezze e questo è inaccettabile anche per un profano, dal momento che stiamo parlando dell’eminentissimo geografo alessandrino. Orbene, ciò che gli studiosi, se si eccettua Goffredo Casalis, che ne fa menzione nel Dizionario geografico storico-statistico-commerciale degli Stati di S.M. il re di Sardegna, hanno sempre trascurato di indicare, è che all’interno della pertica di Neapolis i romani fondarono di fianco a Sardara (3,5 Km. a Nord del centro cittadino), in agro di Forru (Collinas), una città conosciuta in questo villaggio col nome di Villa Clara. Potrebbe essere questa la città nuova di cui parla Tolomeo nell’Itinerario Antonino, scambiata forse con la Neapolis sul mare? Qualcuno potrebbe obbiettare che questa città si trovava nell’entroterra, ma per essa dovrebbe valere lo stesso discorso fatto dal Pais per Uselis/Usellus. Così scrive lo studioso a pag. 401 della sua opera “Storia della Sardegna e della Corsica durante il periodo romano”: “Prendo poi occasione di notare che non è indicazione interamente erronea quella di Ptolomeo il quale colloca la colonia di Uselis sul golfo di Oristano. Uselis era bensì entroterra, ove è oggi il villaggio di Usellus, ma l’errore si spiega probabilmente, considerando che alla pertica della colonia Iulia Augusta Uselis venne assegnato anche il territorio di Monte Arci ed il sottostante campo di S. Anna che confinava appunto col golfo di Oristano”. Felicissima questa intuizione del Pais, che, forse, sarebbe da tenere nella dovuta considerazione anche quando si parla di Neapolis, della quale non è dato di conoscere l’area di pertinenza territoriale (pertica); c’è però da supporre che essa si estendesse dall’altura di Monreale a Sardara fino al golfo di Oristano, come egli ipotizza menzionando il Mommsen a pagina 424 dell’opera citata: “…il castello di Monreale presso Sardara, segnava nel Medioevo il confine tra i Giudicati di Cagliari e di Arborea. Questo medesimo confine forse nell’età romana separò il territorio cagliaritano da quello di Neapolis”.
L’equivoco pertanto andrebbe forse imputato ai romani, che, probabilmente, fornirono allo studioso informazioni inesatte, intendendo loro per “città nuova” quella che costruirono di fianco all’antichissima città nuragica di Sardara e indicando come sede del Sardopatoris Fanum la Neapolis punica, fondata secoli prima del loro arrivo. Questa ipotesi sarebbe avvalorata dagli studi del Taramelli(2), che indicò l’adiacente città nuragica di Sardara come la Paleopolis, la città vecchia. In questo caso città nuova e città vecchia sarebbero una di fianco all’altra e la successione delle località indicate da Tolomeo coinciderebbe. Pertanto, con molta probabilità, alle terme di Sardara venne dato il nome di Aquae Neapolitanae in quanto confinante con la loro “città nuova” e non con la più antica Neapolis: non avrebbe avuto senso darle il nome di una località tanto distante da essa. Sicuramente furono gli abitanti della città nuova fondata dai romani di fianco a Sardara i fruitori principali delle terme, potendoci arrivare comodamente con una piacevole passeggiata o con una biga in pochissimi minuti.
- Raimondo Carta Raspi “Storia della Sardegna”, U. Mursia & C., 1971, pagg. 161 e 162.
- Taramelli “Il pozzo nuragico di Sant’Anastasia ecc.” M.A.L.,XXV, 1918.
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