Il ponte è quello di Brooklyn e il film, d’una sessantina d’anni fa, offre un panorama della vita nella New York di quei tempi. Noi però non abbiamo alcun ponte come quello neppure sullo Stretto e quell’altro tra Arcidano e Terralba non è ancora ultimato. Ma facciamo finta di salirci per dare un’occhiata al mondo in cui viviamo. Un’occhiata di sconforto, e anche disgustata. E dire che gli oroscopisti che leggono pianeti e firmamenti ci avevano annunciato che, all’arrivo dell’attuale millennio, i cervelli si sarebbero elevati e i sentimenti ne avrebbero tratto vantaggio. Non sappiamo su quale ponte si potrebbe salire per avere una panoramica mondiale, e allora noleggiamo un drone adeguatamente attrezzato, capace di leggere presente e futuro senza farci condizionare dal tanfo di interessi egoistici, e adeguatamente schifosi, che nutrono il pianeta.
Non era diverso quel mondo reduce dalle guerre mondiali e dalle sue decine di milioni di morti, con imprenditori arricchitisi con la produzione di armi, mentre il popolino, umilmente, sudava a ricostruire case e a cercare di guadagnare qualche soldo per il pane. La guerra fredda, salvo rischi nucleari evitati all’ultimo istante, ha portato serenità, o in altri luoghi, in particolare asiatici, ha fatto parlare bombe e cannoni sedando fuochi e innestando nuove micce. I decenni sono fuggiti tra una guerricciola e una rappresaglia e siamo arrivati a oggi, con gli imprenditori che condizionano serenamente le scelte politiche che gli fanno comodo e destinano gli utili d’impresa non agli investimenti e agli stipendi dei dipendenti, e neppure all’eliminazione degli inquinanti che hanno seminato, ma in attività di tipo speculativo o di convenienza personale.
Il nostro duemila affoga nei soldi fantasma fatti di carta straccia, nei miliardi di derivati dieci volte maggiori del prodotto interno dell’intero pianeta, e fa affogare quanti, privati o meno, gli si avvicinano pensando di investire in quei derivati i propri risparmi. Non affogano però, salvo in qualche caso, le istituzioni finanziarie o bancarie che li hanno creati e messi in circolazione, troppo grandi per fallire e perciò protette dalla politica, e finisce che come sempre pagano i più piccoli, generalmente impreparati o incapaci di capire quel genere di alta finanza. Il panorama mostra disparità inique, miraggi di un futuro non rispondente alla logica più semplice che insegue prospettive di crescita progressiva e intanto procede con la produzione di lusinghe di oggetti inutili o superflui e di armi, le uniche cose valide per far fronte a guerre più o meno probabili. Nei secoli andati le nazioni più potenti o meglio organizzate militarmente hanno spaziato in lungo e in largo occupando e sfruttando territori, creando colonie e domini e lasciando, una volta cacciate, ferite difficili da curare. Poi, a partire dalla seconda metà del secolo scorso, le nazioni colonialiste sono state affiancate o sostituite da multinazionali operanti nei settori dei petroli, dei minerali e infine dell’alimentazione che hanno addomesticato i governanti locali alle proprie esigenze. La giustizia sociale è rimasta utopia e le rivolte si sono moltiplicate, non sempre con l’esito sperato.
Anche le primavere arabe sono sfiorite mentre i disagi delle popolazioni aumentano e diplomazie mondiali litigano tra loro e diventano impotenti o arroganti. Così, nelle situazioni senza certezze, favoriti da capi di governo con politiche ambigue, incoerenti o meschine, nascono e imperano i nuovi predicatori col loro seguito di credenti. Un dio qualsiasi, non importa se rispondente a quello descritto nei cosiddetti testi sacri, fa più audience di qualsiasi promessa materiale, e i nuovi predicatori imperano. Non importa se rapiscono, violentano o scannano intere popolazione, se arruolano bambini che mandano tra i nemici per farli esplodere con le loro cinture o a cui insegnano a uccidere.
La domanda è se sia giusto difendere l’idea di un dio o se il dio dovrebbe provvedere in proprio senza servirsi degli uomini. E l’altra domanda è se sia giusto che certi cervelli utilizzino parole o vignette che altri cervelli non sono in grado di condividere. Purtroppo, da sempre, questi altri cervelli hanno bisogno non di pane ma di promesse di illusorio benessere futuro, non importa se su questa terra o da qualche altra parte. La fame può far paura, ma, se si è disposti a credere che c’è un dio che punisce e premia, cresce anche il seguito dei predicatori pronti a uccidere.
A cura di Edmunduburdu
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