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ATTUALITÀ

Utopia animalista e tradizione popolare

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di Giovanni Contu

La responsabilità e la cura degli armenti e più in generale il benessere animale, costituiscono un retaggio culturale che per noi sardi si perde nella notte dei tempi. Ancora oggi la tradizione agropastorale, nonostante le innumerevoli difficoltà di natura economica accompagnate dall’instabilità del mercato internazionale, non solo è mantenuta in vita ma contribuisce notevolmente al sostentamento di molte famiglie, di interi paesi e rappresenta un patrimonio di esperienza insostituibile nonché un ambito in cui maturano competenze professionali peraltro richieste nel mercato del lavoro e su cui esistono approfonditi corsi di studio universitari.
Attualmente si presentano questioni di natura etica, che si collocano nella concezione di uno stile di vita ispirato alla radicalizzazione della pratica vegetariana, che quasi rendono “intoccabile” l’animale da allevamento e in generale diffondono la forma di rispetto pagano che nei fatti escluderebbe qualsiasi azione dell’uomo che non sia ispirata all’utopia di un’idilliaca ma improbabile e innaturale convivenza.
La tutela dei loro diritti, come “esseri animali” rappresenta certamente una conquista di civiltà; non solo la loro esistenza e il loro adeguato sostentamento dipende dalle nostre scelte che sono anche quelle di sottrarli alla spietatezza della natura, con i vaccini, i controlli medici, la protezione nei confronti dei predatori selvatici che non indugiano nel dilaniare la carne di animali più docili, come farebbe la volpe nei confronti della gallina o dell’agnello che disgraziatamente rimanesse incustodito dall’allevatore.
Forse questo destino è meno crudele di quello che subirebbe nella macellazione che indiscutibilmente costituisce una tappa essenziale nella gestione del bestiame?
Certo la crudeltà è una pratica deplorevole, indipendentemente dall’oggetto verso il quale è rivolta. Il disprezzo verso la dignità del creato sicuramente diventa un abominio e fortunatamente oggi esiste la consapevolezza diffusa sugli effetti nefasti dell’agire sconsiderato da parte dell’uomo.
Se è vero che il problema della caccia, della pesca, della custodia degli animali nel circo o negli ambienti zoologici strutturati assume una caratterizzazione etica, è altrettanto vero che bene e male, giusto e sbagliato dipendono dalla volontà con la quale gli uomini costruiscono un ambiente di vita.
Italo Calvino diceva che nell’animo del pastore convive la tenerezza con cui alleva un capretto e al contempo la determinazione nel doverlo uccidere – nel tempo e nel modo più opportuno vale a dire in quello meno cruento – per mantenere il benessere del gregge.
Nel corso dei millenni lo stesso pastore, con amarezze e innumerevoli difficoltà, ha imparato a gestire questa duplice natura. I ragazzi adolescenti lo imparano più comodamente al liceo, quando studiano Aristotele e imparano la virtù etica e le “buone abitudini” guidate dal principio del giusto mezzo.
I sardi, come abitanti di una regione che si nutre culturalmente e materialmente di allevamento e di pesca, hanno maturato un rispetto secolare per gli animali, tale da non permettere che essi, nella stragrande maggioranza dei casi, ricevano maltrattamenti intollerabili. Da queste parti il mantenimento di ogni singolo capo di bestiame si considera non come un gioco o un divertimento, quanto piuttosto come una devozione; questo è il nostro costume, questa è la nostra dignità.

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