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Cultura

Zeddiani, zia Verònica e la Bellezza dell’arte

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di Efisio Cadoni
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La III edizione annuale ricca di immàgini, per memoria di Zia Verònica, grande artista di Zeddiani, organizzata dall’Amministrazione comunale, dagli Artisti locali e dalle guide crítiche di rilievo, Flaminia Fanari, curatrice del catàlogo annuale, e Pàolo Sirena, direttore artístico, mette in risalto ogni sua òpera con i dipinti della mostra, nelle pareti del “Monte granàtico” e le decine di pàgine delle varie collezioni púbbliche e private.

Un ricordo di Verònica Serra di Zeddiani, zia Verònica, tra i primi artisti “nativi”, nel senso di naïf, della Sardegna, per età, nata dopo Vincenzo di Portotorres (poco noto, ma conosciuto tra gli anni Sessanta e Settanta), e Francesco Silanos, Ciu Cicillu di Alghero, mi porta ai primi anni Settanta del Novecento dello scorso sècolo. Aveva conosciuto uno dei maggiori rappresentanti dei naïf italiani, Gino Covili, qualche anno prima che io lo conoscessi. Vidi a casa di zia Verònica, se non vado errato, una sua píccola òpera che dedicò a lei.

Ci siamo incontrati pochíssime volte e da lei, se non ricordo male, ho ricevuto due òpere di grande bellezza e originalità, un dipinto e una scultura, e credo di averle dato due miei lavori, in amichévole scambio. Tutto intorno a noi era naïf.

Questa parola, quest’aggettivo, oggi, nella nostra lingua è diventato, in maniera fissa, restante con la scritta propria della sua madrelingua, come tèrmine fisso maschile (in francese il sostantivo “art” è maschile). In italiano è d’uopo scrívere sempre “naïf”, come ogni altra parola straniera, invariabilmente, come garage, sport, film, ecc… Naïf ha il significato già espresso, nativo, accompagnato alla parola “arte”; attributo proveniente dall’interiorità dell’artista. Vuol dire precisamente “profondamente interiore, spontàneo, immediato, originale, ínsito, sincero, sémplice, privo di artifici, ecc…” La parola nasce dall’aggettivo “natif”, ossía innato, naturale, ma nonostante l’uso dell’aggettivo francese significativamente positivo, talvolta índica una persona bonacciona, un semplicione.

Forse, il primo filòsofo che ha scritto dell’Arte, adoperando il tèrmine “estètica”, nel senso di arte come “conoscenza del Bello attraverso i sensi” (gli occhi, le mani, le orecchie, il naso, la bocca) che induce, appunto, alle emozioni, al sentimento della Bellezza, è proprio colui che può dire che Arte è Bellezza, Alexander Baumgarten, discèpolo del Wolf, autore di “Aesthetica”, libro non ultimato, ma denso di concetti e creazioni di pensieri di grande utilità nel ragionamento sull’idea della parola “Arte”. Il filòsofo aggiunge al concetto di Arte-Bellezza, il concetto proprio sostanziale dell’Arte che è oggettivamente Poesía, sempre immancàbile, presente, necessaria nell’Arte, come spirituale incanto, essenziale incantèsimo. Certamente da questo non s’allontana il pensiero di Benedetto Croce che definisce l’arte della pittura, della scultura, della música, ecc… quale originale íntima espressione che non può non avere dentro di sé la Poesía, che è “costruzione perfetta”, grazie a ciò che egli definisce Ritmo Universale, armònico vitale respiro.

Anche il filòsofo Anceschi a questi concetti aggiunge che l’Arte come Bellezza è la “definíbile indefinibilità”, un vero ossímoro, una vera e propria figura retòrica in cui c’è il contenuto di un pensiero nella parola che mantiene il significato contrastante, ma imponentemente vero e giusto. Pensiamo ad espressioni come, “corre lentamente”, una notte luminosa”, “una oscura luce di luna”, “un ricco poveraccio”, “un caldo inverno” e cosí via…

In realtà, quella che chiamiamo Arte (voce che proviene dall’antica Grecia), dal verbo “artízo”, pongo tutto in òrdine, oppure “artúo”, dispongo bene, in realtà non ha una definizione precisa, soprattutto per quanto riguarda tutta l’Arte dei sècoli rispetto all’Arte presente, l’Arte che avanza, l’Arte futura. La definizione d’Arte appare sempre incerta, imprecisa, approssimativa, come suggerisce l’Anceschi. Ecco, quanti pensieri, emozioni? E il Bello dov’è? Dov’è la Poesía? E l’arte è forse “un cesso, un coperchio d’una pèntola, un manubrio di bicicletta, un cerino appeso, una scàtola di mer…?, la scàtola misteriosa del Manzoni dell’ideale della sua personalíssima arte. E dov’è, dove sarà la poesía in quest’arte, cosí nomata anch’essa estètica? Certo, estètica. Ma…

Ma si tratta di un’altra estètica, Arte che, forse, estètica non è… O, forse, è o sarà anch’essa estètica per chi ha o per chi avrà uno stòmaco di struzzo.

Ecco, invece, l’arte di zia Verònica è arte naïf naïf naïf… L’arte naïf è tutt’altra cosa. È fermo sentimento nell’òpera compiuta, vera e naturale; è natura, è profonda essenza dell’èssere, è idea che corrisponde al pensiero che è realtà, è l’èidos dei Greci antichi, che è di per sé l’òpera artística, il dipinto, la scultura, il verso, l’arte che viene da dentro, perché è natif, innata, ínsita, come dal latino proviene, dalla lingua madre. Il Bello dell’Arte dei naïf è innatus, insitus naturā, ciò che proviene dall’umana natura, ciò che appunto è nativo, proviene dal cuore e dall’ingegno interiore del vero artista, dove tutto è originale, è bellezza, è poesía, è òpera única. Ogni naïf è un unicum, è privo di scelte, è espressione della natura, della sua natura, ogni sua òpera, spontànea, genuina, nata per lo spírito, attraverso i sensi.

Il padre dei naïf è indubbbiamente Henry Rousseau, perché per primo cosí fu definito, naïf, dall’artista poeta Guillaume Apollinaire, ossía Willelm Apollinaris de Kostrowitzky, romano di nàscita proveniente da una famiglia del Cantone svízzero dei Grigioni, poeta e artista del segno, l’inventore dell’artista naïf, amico di tanti maestri della Bellezza e della Poesía. Ecco, Apollinaire lo definí naïf , come “immediato, spontàneo, vero, ricco di naturalezza”, ma soprattutto pieno di “diletto” nell’òperare sentimentalmente, considerato tra i grandi come Cézanne, Braque, Matisse, Kandinsky, Picasso ecc… Certo, era un dilettante nel significato piú naturale e positivo. Era colui che godeva dell’Arte e della propria Arte era felice. Non era da meno zia Verònica, nel suo ristretto mondo universale di Zeddiani.

Un’altra definizione che a lui, Henry, fu data è quella che lo indicava come artista immerso nell’adamismo, nel suo èssere proprio ingenuo, come un primitivo, senza conoscenze di mestiere (cosí si diceva una volta), ma ispirato dal soffio della natura. Cosí era ed è zia Verònica, sincera, modesta, spontànea, originale, popolare come artista che riuscí a popolare d’arte non solo il suo bel paese, Zeddiani, ma anche tutta la Sardegna e un bel pezzo d’Europa, sempre con le immàgini di quella sua píccola terra interiore di natura, con la sua precisa atmosfera che s’avvolge nel colore tra i vàri personaggi ancora nei luoghi chiusi, nelle case, anche con i bimbi isolani, tra gli sprazzi di luce, e anche ritornanti all’aperto, visione ricca di ballitondi, di processioni, di uòmini e donne con antiche fogge d’abbigliamenti di costume caratterístico, là dove tutta la sua interiore bellezza s’esterna, per sempre, nel tempo umano.

Concludo con le parole della giornalista Annamaría Janin che scrisse, in un pieghèvole, delle “estàtiche atmosfere da idillio paesano” di Zia Verònica, della pittrice e scultrice, òspite del Club d’Arte di Càgliari, “Il Gabbiano”, per una sua mostra personale, unita con i miei lavori e con quelli degli altri amici invitati espositori, Franco Corrado Pau e Luigi Pillitu. Era l’anno 1987 immerso nella naïveté.

RIPRODUZIONE RISERVATA
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