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ATTUALITÀ

Le troppe regalie del passato rischiano di mettere in crisi il sistema previdenziale in Italia

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di Mauro Marino
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Mauro Marino

Non ve lo dicono, fanno finta di nulla, nessuno ne parla, ma la situazione previdenziale in Italia è molto seria e se non si interviene immediatamente si rischia, seriamente, nel futuro di mettere in crisi il sistema previdenziale italiano. E’ una situazione che parte da molto lontano, addirittura dal dopoguerra, dagli anni della ricostruzione industriale e dal boom economico che si è verificato in Italia negli anni sessanta e che si sta ripercuotendo, a causa di errori, regalie e malafede dei politici sui pensionati attuali e soprattutto su quelli che lo saranno tra una ventina d’anni.

Innanzitutto iniziamo col dire che il nostro sistema previdenziale attuale è a ripartizione vale a dire che chi lavora e versa i contributi paga la pensione a chi è già pensionato. Questo sistema introdotto in Italia già prima della seconda guerra mondiale per rendersi in equilibrio abbisogna secondo calcoli attuariali che vi sia almeno 1 lavoratore e mezzo per ogni pensionato. All’inizio poiché vi erano pochi pensionati e a causa del boom economico determinato dal proliferarsi delle grandi fabbriche del nord soprattutto in Lombardia, Piemonte e Veneto a cui si può tranquillamente aggiungere anche l’Emilia Romagna e la Toscana e a causa dell’aspettativa di vita che in Italia era molto bassa determinò addirittura un avanzo economico nei bilanci dell’INPS. Questo benessere economico causò appetiti elettorali che indusse molti politici per ottenere consenso a varare leggi previdenziali assolutamente inique e di cui stiamo pagando ancora le conseguenze. Fu introdotto nel calcolo della pensione il sistema retributivo e si approvò la scellerata legge sulle baby pensioni per i dipendenti pubblici. Quello delle baby pensioni introdotte dal Governo Rumor nell’anno 1973 merita un approfondimento. Dopo il sessant’otto che modificò in profondità la società in tutt’Europa si creò in Italia un clima politico e sociale molto teso con attentati di stampo terroristico operati sia da frange dell’estrema sinistra che dell’estrema destra ed allora per cercare di calmare le acque e per evitare tensioni sociali si pensò di istituire le pensioni baby che, ricordiamolo, permettevano ai pubblici dipendenti di potersi pensionare se uomini dopo 19 anni 6 mesi ed un giorno e se donne coniugate addirittura dopo 14 anni 6 mesi ed 1 giorno di lavoro. Secondo un semplice calcolo matematico se un lavoratore accedeva alla pensione baby a 40 anni e vive secondo l’attuale aspettativa di vita fino a 85 anni costui percepisce di pensione oltre il triplo dei suoi effettivi versamenti contributivi. Mai scelta fu più nefasta se si pensa che dal giorno della sua istituzione fino ad ora questa disposizione è costata all’Erario oltre 250 miliardi di euro e che ancora oggi nel bilancio dello Stato incide per circa 7 miliardi di euro l’anno. All’attualità, infatti, questo istituto cancellato definitivamente il 31/12/1995 eroga assegni previdenziali a quasi 500.000 fortunati fruitori.

Altro grave aspetto da considerare è il calcolo della pensione effettuato con il metodo retributivo. La pensione, cioè, non viene calcolata sugli effettivi versamenti contributivi ma bensì sull’importo della retribuzione. In pratica più si guadagna negli ultimi anni più si prende di pensione anche se non giustificato da corrispondenti versamenti contributivi. Consideriamo che moltissime persone all’inizio della loro carriera lavorativa non pagavano nemmeno i contributi che non erano addirittura obbligatori e che nei primi anni di lavoro ricevevano bassissimi compensi con versamenti irrisori ma ciò non importava, quello che serviva era che alla fine della carriera lavorativa godessero di retribuzioni alte per determinare pensioni altrettanto alte. Si assistette inoltre in quegli anni ad autentici soprusi, soprattutto all’interno delle forze armate e delle forze dell’ordine, di persone che venivano promosse di grado il giorno prima di andare in pensione così da aumentare l’assegno previdenziale. In quegli anni, stiamo parlando degli anni tra il 1975 ed il 1990 soprattutto nel pubblico impiego molti lavoratori percepivano di pensione e anche in taluni casi lo superavano, lo stesso importo del loro stipendio.

Tutte queste situazioni, aggiunte a regalie varie compiute da politici di ogni governo per assicurarsi consenso elettorale e rielezioni in Parlamento determinò un aumento vertiginoso del debito pubblico che in pochi decenni salì dal 40% ad oltre il 120% del PIL. Come molte volte succede in Italia si passò poi, quando ci si accorse che la situazione era sfuggita di mano, a diversi interventi drastici che ribaltarono completamente la situazione determinando una situazione drammatica per i nuovi assunti. Infatti nel 1995 sotto il Governo Dini si intervenne in maniera troppo drastica dividendo i lavoratori in  tre categorie. Quelli che possedevano almeno 18 anni di contributi avrebbero continuato ad avere la pensione calcolata col metodo retributivo, coloro i quali, invece avevano meno di 18 anni di contributi alla data del 31/12/1995 avrebbero avuto il calcolo della pensione effettuato col sistema misto (retributivo fino al 1995 e contributivo poi), i lavoratori, infine, assunti dall’anno 1996 avrebbero avuto la pensione calcolata interamente col sistema contributivo. Questa situazione già molto penalizzante fu peggiorata ulteriormente con l’ormai famosissima legge Fornero che determinò che tutti i lavoratori, anche quelli che godevano del sistema retributivo, a partire dall’anno 2012 avrebbero avuto il calcolo della pensione effettuato con il più penalizzante sistema contributivo.

Questo ha determinato negli anni un progressiva diminuzione degli assegni previdenziali che sono passati da una media di 1.450 euro al mese dell’anno 2012 ai 1.180 euro al mese dell’anno 2022. Non ci vuol molto a capire che tra pochi anni, se non si interviene immediatamente, l’assegno previdenziale medio scenderà a meno di 1.000 euro lordi al mese, importo quasi al limite della sopravvivenza. Autorevoli studi attuariali hanno evidenziato che un lavoratore che entra adesso nel mondo del lavoro, dopo 40 anni di regolari versamenti, si ritroverà una pensione che a stento arriverà al 50% del proprio stipendio.

Ecco, perché, è necessario intervenire immediatamente, perché il famoso rapporto che determina un equilibrio nel sistema previdenziale italiano che è di 1 lavoratore e mezzo per ogni pensionato già oggi è passato a 1,4 su 1 e le previsioni a causa dell’invecchiamento della popolazione e della spaventosa contrazione delle nascite arrivate la minimo storico di appena 394.000 bambini nati nel 2022 rischia, tra vent’anni di arrivare a 1 a 1, vale a dire un lavoratore per ogni pensionato. E’ chiaro che a quel punto il sistema previdenziale imploderebbe e lo Stato non sarebbe più in grado di pagare le pensioni.

Come intervenire, allora, per invertire la tendenza? Innanzitutto dando incentivi economici e soprattutto fornendo servizi alle famiglie con figli aumentando il numero di asili nido, concedendo agevolazioni nell’attività lavorativa e vantaggi previdenziali ai genitori, poi regolando i flussi migratori e attuando una seria politica attiva sul lavoro e dopo una meticolosa preparazione specifica indirizzarli verso attività produttive, alzare i coefficienti di trasformazione per ottenere montanti contributivi più alti e di conseguenza pensioni più decorose. Imprimendo inoltre un fortissimo impulso alla previdenza complementare che dovrebbe essere posta sotto il controllo di un organismo pubblico, dando maggiori detrazioni fiscali e diminuendo le spese ed infine, dopo aver preventivamente consultato organi giurisdizionali per evitare ricorsi sul tema dei “diritti acquisiti”, intervenire sulle pensioni oltre 4.000 euro al mese non coperte da regolari versamenti contributivi.

RIPRODUZIONE RISERVATA
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