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ATTUALITÀ

Una petizione on line di Change.org chiede di fermare la produzione di bombe in Sardegna

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In due giorni hanno già superato le 5 mila firme di adesione alla campagna contro l’allargamento della fabbrica di bombe della Rwm tra Iglesias e Domusnovas. Questo il risultato finora ottenuto dalla società profit Change.org che gestisce la piattaforma on line gratuita di campagne sociali e che ora ha rivolto la sua attenzione proprio sulla Rwm, la fabbrica impegnata nella preparazione e vendita di sofisticate quanto devastanti bombe impiegate nella guerra nello Yemen. Fondata nel 2007 negli Stati Uniti, la società americana ha il suo quartier generale a San Francisco nel cuore della Silicon Valley. Famoso il suo impegno nelle campagne sociali in tutto il mondo. L’ultima, proprio quella che vede in Sardegna l’annoso e lacerante dilemma riguardante la salvaguardia dei posti di lavoro contro una produzione eticamente discutibile e ai limiti della legge nazionale. «Rwm si vuole espandere: il doppio degli impianti, il triplo delle bombe. Quanti altri morti ancora in Yemen? Diciamo basta e chiediamo a gran voce una riconversione dell’intero territorio del Sulcis-Iglesiente». Questa la premessa della petizione lanciata pochi giorni fa da Change.org che chiede anche la riconversione del Sulcis «alle sue vocazioni storiche attraverso uno sviluppo finalmente sostenibile che sappia esaltare le peculiarità del paesaggio e le persone che lo abitano, che lo vivono. Paesaggio inteso come risorsa, come bene comune, teatro di new-economy applicata ad un territorio ancora autentico». Sul proprio sito Change.org rivela come «La “conferenza dei servizi” richiesta della Rwm Italia Spa per l’autorizzazione all’ampliamento é andata a buon fine: gli enti preposti non si sono espressi a riguardo (di fatto comportando un loro assenso) e non è stata richiesta neanche la Valutazione di Impatto Ambientale. Manifestiamo la nostra contrarietà al business di morte di Rwm Spa e alle scelte sciagurate che ancora una volta compromettono ulteriormente un’area devastata da anni di sfruttamento minerario, fabbriche inquinanti e servitù militari che da sempre hanno impedito uno sviluppo imprenditoriale sostenibile e percorsi di autodeterminazione». 

Laura Atzeni - RIPRODUZIONE RISERVATA Laura Atzeni
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