banner1_lagazzetta
sadall
ffserci
striscione_banner
ALP
alfabetar
cepicom
falegnameria
previous arrow
next arrow
L'ISOLA IN CUCINA

Su contu de su frommentu de is Janas

Condividici...

di Roberto Loddi
_____________________

Roberto Loddi

Il lievito, una storia che risale a 5000 anni fa, anche se sappiamo che il genere umano lo impiegava già da prima, infatti gli egizi adoperavano l’enzima per panificare e siccome non avevano sufficienti nozioni scientifiche, lo immaginavano come un evento soprannaturale. Secondo una sorprendente leggenda, nel corso di una esondazione delle acque del Nilo, tutta la farina immagazzinata in un deposito nelle vicinanze del fiume, venendo a contatto con l’acqua, formò una massa di poltiglia. L’amalgama a causa della calda temperatura, ben presto iniziò ad aumentare di volume e non volendo sprecare nulla, fu proposta la brillante idea di aggiungere altra farina asciutta, ottenendo così un impasto malleabile, che ben presto venne trasformato in pagnotte, le quali una volta cotte, risultarono molto più digeribili di quelle panificate in precedenza, scoprendo così una nuova tecnica di panificazione con risultati di qualità superiore.
Pare che agli inizi del primo secolo d. C., il pane venisse già preparato in Gallia e in Liberia, utilizzando come lievito la schiuma della birra, che dava più spinta al composto e rendeva il pane una volta cotto più profumato, saporito e appetibile.
Una curiosità: durante il periodo Neolitico recente, fino all’Età del Bronzo (4400 -2000 a. C.), in Sardegna sono state ritrovate delle tombe, is domus de janas, domos de Janas, giana, giannèddas, nell’immaginario dei sardi, case delle fate, forrus, forreddu, concheddas, gruttas, piccole grotte scavate nella roccia, luogo dove le janas abitavano.
Le fatine dai poteri magici, erano degli esseri viventi aggraziati e di piccolissima corporatura, addirittura il popolo sardo le accostava e paragonava alle api, secondo un’antica leggenda e tutt’ora, sono considerate fatine di una bellezza straordinaria, tanto che secondo un modo di dire isolano, per esprimere un apprezzamento ad una ragazza   si diceva: “sei bella come una jana”.
La peculiarità delle janas era quella di essere particolarmente versatili e multiformi, a causa del melodioso tono di voce, ed erano definite “belle come il sole”, mentre lavoravano al telaio, utilizzando filamenti di ragguardevole fattura. Si vestivano con abiti eleganti prevalentemente di color rosso e portavano in testa fazzoletti di fiori variopinti. Inoltre disponevano di sfarzosi gioielli d’oro ed avevano dimestichezza nelle mansioni che eseguivano quotidianamente e, avevano la fortuna di avere ogni cosa che desideravano, ma potevano uscire solo di notte, in quanto i raggi del sole avrebbero sciupato l’immacolata carnagione sino a farle morire.
Una leggenda narra che le piccole fatine, erano in possesso di poteri prodigiosi, con i quali affascinavano gli uomini e avevano la facoltà di esaudire ogni loro desiderio, meno quello di possedere il lievito per la panificazione, infatti secondo la leggenda, durante le notti di luna piena, le fatine scendevano lungo i sentieri dei monti per farsi prestare il crescente dalle donne del popolo, per poi restituirlo di nascosto. Questo accadeva perché il loro fermento non era in grado di far crescere l’impasto, in quanto il lievito madre era in possesso solo al mondo umano.
Si racconta anche che le janas erano molto religiose e, dopo aver steso le vesti sui cespugli dei prati ad asciugare, sbrigato le faccende domestiche, si apprestavano ad andare in chiesa a pregare. Le fate erano anche molto suscettibili, se qualcuno tentava di imbrogliarle diventavano intrattabili, mentre se venivano coccolate si trasformavano in sirene dolcissime. Nella credenza isolana, le fate un tempo abitavano nelle piccole grotte, domus, scavate nelle montagne di tutta l’Isola, fornendo all’immaginario del popolo sardo, storie e leggende, come, su contu de su frommentu de is Janas, la leggenda del lievito delle fate.

INGREDIENTIS

Kg 1di semola di grano duro rimacinata, gr 500 di fior di farina, gr 350 circa di lievito madre rinfrescato, gr 15 di malto o miele, gr 750 di acqua di fonte o acqua minerale naturale, gr 30 di olio extravergine d’oliva, gr 30 di sale.

APPRONTADURA

La sera prima prepara il preimpasto dentro a una ciotola, unendo al crescente, frommentu, tre pugni delle farine miscelate che hai in dotazione, amalgama bene il tutto e lascia riposare il panetto ottenuto coperto in luogo tiepido per tutta la notte (se invece non hai la fortuna di possedere il lievito madre, utilizza il lievito di birra). La mattina del giorno seguente, disponi la restante farina a fontana sul ripiano della madia o dentro al boccale della planetaria (se la possiedi), al centro tuffaci il panetto del lievito preparato la sera prima, il malto o il miele, l’olio e l’acqua che hai in dotazione poca alla volta, per ultimo il sale. Fatto, amalgama bene l’impasto, spongia, ciuexi, suexi, ciuxhere, ciuett, cummossai, impasta, ammesturai, questi sono alcuni termini in dialetto sardo per specificare il procedimento di lavorazione basilare dell’impasto al fine di ottenere un composto ideale per pezzare la forma del, civraxiu, jifrajiu, formato di pane tipico del Campidano in Sardegna. Una volta ottenuto un composto omogeneo, dai forma al pane, accomodalo dentro a una corbula concava foderata con un canovaccio ben infarinato, corba, crobi, tipico recipiente sardo di giunchi di svariate misure e lascia che lieviti coperto con un panno di orbace (tipico tessuto sardo in uso già al tempo degli antichi romani), per almeno tre ore dentro al forno spento con la sola luce accesa. Trascorso questo tempo, togli l’impasto dal forno, accendilo e portalo alla temperatura massima, applica quindi una nebulizzata di acqua in tutto l’interno del forno con l’apposito spruzzino per alimenti,  successivamente fai due tagli sulla superficie del pane, spolverala con una manciata di semola, di seguito inforna il pane e quando sarà passato un quarto d’ora, porta la temperatura a 180/190° e prosegui la cottura per una mezzora, fino a quando il, civraxiu, avrà raggiunto un bel colore dorato intenso. Accertata la cottura, sfornalo, lascialo raffreddare dentro a una cesta e servirlo a fette in tavola. Il, civraxiu, è un pane che si presta ad essere consumato, oltre che da solo, a una infinità di piatti del territorio. Per citare alcune ricette: pettieddasa cun arritzoni de mari, bruschette con ricci di mare, pani indorau, fette di pane impanate e fritte, suppasa de Santu ‘Engiu, zuppa di San Gavino a base di pane raffermo a fette con sugo di pomodoro e pecorino sardo poi gratinata in forno.

RIPRODUZIONE RISERVATA
Condividici...

ecco qualche nostra proposta….

IMG-20231027-WA0002
IMG-20231007-WA0003-1024x623
IMG-20231104-WA0035-1024x623
previous arrow
next arrow
 

CLICCA sotto PER LEGGERE

RADIO STUDIO 2000

Su questo sito Web utilizziamo strumenti di prima o di terzi che memorizzano piccoli file (cookie) sul dispositivo. I cookie vengono normalmente utilizzati per consentire al sito di funzionare correttamente (cookie tecnici), per generare report di navigazione (cookie statistici) e per pubblicizzare adeguatamente i nostri servizi / prodotti (cookie di profilazione). Possiamo utilizzare direttamente i cookie tecnici, ma hai il diritto di scegliere se abilitare o meno i cookie statistici e di profilazione. Abilitando questi cookie, ci aiuti a offrirti un’esperienza migliore. Cookie policy