Nella seconda metà degli anni Settanta, a Nuoro i dirigenti del movimento politico de Su Populu Sardu li troviamo impegnati in una discussione di alto valore culturale. Si trattava di decidere, in modo assembleare, secondo le abitudine del tempo, se il campidanese poteva essere annoverato tra le parlate sarde. Molto più chiaramente: il campidanese è sardo?, si chiedevano. La maggioranza rispose decisamente no. E, mentre sembrava che la non esistenza del campidanese fosse democraticamente decretata, si levò una voce, quella di Bore Ventroni, per difendere la sardità del campidanese. E fu così che la parlata dei tre quarti del sardi poté salvarsi fino ai nostri giorni dall’usura del tempo e dall’insipienza umana.
A distanza di quasi vent’anni ritroviamo due personaggi di quella storica riunione, Mario Carboni e Diego Carraie. Il primo, ignoto ai più, e si è rifatto vivo per testimoniare che Bore Ventroni non lo aveva affatto convinto. Infatti nella polemica che infuria nei social in queste settimane si è fatto sentire parlando con disprezzo del “cosiddetto campidanese”. Qualcosa, dunque, che esiste solo nella mente degli abitanti della Sardegna meridionale, che notoriamente si esprimono solo con una mimica degna di Marcel Marceau. Mai esistito nella storia, il sardo campidanese e, a ragion di logica, neppure gli abitanti che lo abbiano parlato.
Il secondo, Diego Corraine, è ricomparso nel 2001, quando un gruppo di esperti di cui faceva parte tentò un’operazione di alta ingegneria linguistica che portò all’unificazione, a tavolino, della lingua sarda, che da quei giorni divenne Limba Sarda Unificada. La quale, come si sa, andò a finire male.
Il nome di Corraine ricompare nel 2006, quando Renato Soru rispolverò l’esigenza di una lingua per tutti i sardi, e incaricò proprio lui di rispondere ai suoi desiderata. Corraine rispose in modo esemplare ripresentando la vecchia Limba Sarda Unificata mandata in soffitta da un’autentica rivolta popolare e, vista l’autorevole fiducia di cui godeva, pensò bene di peggiorarla inventandosi di sana pianta un lessico e forme verbali inesistenti, e fu chiamata Limba Sarda Comuna, quella che oggi ci viene riproposta. Diego Corraine ha almeno un merito: quello di chiamare le cose con il loro nome. La lingua sarda di cui si parla nella proposta di legge è, per sua ammissione, la LSC, cioè la Limba Sarda Comuna.
Corraine è anche l’editore di Papiros, una casa editrice che ha pubblicato decine e decine di volumi in Limba Sarda Comuna, pronti per essere immessi nel mercato librario scolastico. E qualche maligno, non da oggi, parla di conflitto di interessi, e di lui come un barone della Limba.
Ciò che sconcerta, però, è l’atteggiamento di certi intellettuali campidanesi A loro si deve se il campidanese è destinato a scomparire anzi tempo, sono loro che hanno aperto la via al predominio del logudorese. Tra tutti, due nomi: quello di Paolo Zedda e di Leo Talloru. Zedda cantadori campidanesu, di recente conversione, e consigliere regionale, è primo firmatario del testo della proposta di legge per l’ufficializzazione della Limba Sarda Comuna; Talloru, è stato membro della Commissione cultura della ex(?) Provincia del Medio Campidano. Sul piano politico, come si sa, spicca su tutti il nome di Renato Soru, senza il cui intervento perentorio oggi non saremmo qui a discutere di questi temi. Zedda, a dire la verità, non vuole la scomparsa del campidanese, ma nei fatti, auspicando una lingua comune a tutti i sardi, ne decreta la morte, perché solo la lingua ufficializzata può entrare nelle scuole sarde di ogni ordine e grado.
Franco Carlini
RIPRODUZIONE RISERVATA
Aggiungi Commento