La drastica riduzione di risorse e i vincoli imposti ai bilanci hanno costretto i Comuni a limitare la propria azione alla ordinaria amministrazione e all’ingrato ruolo di esattori per conto dello stato centrale. In Sardegna la giunta Pigliaru e la sua maggioranza poco o nulla hanno fatto per contrastare questa tendenza, e a Roma il neo eletto governo del cambiamento non ha alcuna intenzione di invertirla né modificarla. I trasferimenti statali si sono ridotti di 5,8 miliardi rispetto al 2010: un taglio drastico che ha costretto i Comuni a svendere il patrimonio pubblico, a privatizzare molti servizi e mercificare i beni comuni. Gli investimenti in infrastrutture e servizi sono stati praticamente azzerati; il dogma della stabilità dei conti ha creato un paradosso per cui molti Comuni pur registrando saldi primari positivi – nel 2016 le entrate sono state maggiori delle uscite, con 2,3 miliardi di euro in più di risparmi a livello nazionale – non hanno potuto spendere quelle risorse. Lo smantellamento dell’apparato amministrativo ha ulteriormente ridotto la capacità operativa, mentre il ceto politico locale ha perso spazi e riferimenti per incidere nei processi decisionali.
Ultimamente molti amministratori, in Sardegna ma anche nel resto d’Italia, preferiscono fare fronte comune e andare oltre gli schemi politici tradizionali di appartenenza. Una scelta di questo tipo deve far riflettere chi governa e decide, a Roma e a Cagliari, sulla capacità della politica di dar voce ai territori, ai cittadini e a chi li amministra. Esiste oggi infatti una classe dirigente locale la cui iniziativa può assumere un importante respiro politico e avviare un’inversione di rotta su almeno tre fronti.
I favorevoli tassi di interesse sui mutui – una costante di questi anni che probabilmente non durerà ancora a lungo – e l’intervento della Commissione Europea sulla gestione dell’Euribor – il tasso d’interesse di prestiti e prodotti di finanza derivata – hanno permesso a molti Comuni di rinegoziare i contratti stipulati in passato; questa tendenza, che rimane ancora attuale, deve essere incentivata e estesa – nel prossimo futuro e anche quando i tassi torneranno a crescere – a tutti gli enti e istituti erogatori di risorse con l’obiettivo di creare nuove opportunità di investimento pubblico locale.
Peraltro, la maggior parte di questi mutui sono stati accesi con Cassa Depositi e Prestiti, rispetto alla quale i sindaci devono esigere un radicale cambiamento: il risparmio postale dei cittadini e la sua raccolta devono tornare alla finalità prioritaria di favorire con tassi agevolati gli investimenti degli enti locali. Cosa che non accade oggi, considerati i tassi praticati e il tentativo da parte di Lega e 5 Stelle di utilizzare quelle risorse per realizzare reddito di cittadinanza o flat tax.
Infine, allentare il patto di stabilità – quanto meno potervi dedurre le spese per gli investimenti – e liberare l’utilizzo dell’avanzo di amministrazione dagli attuali vincoli, sono temi da introdurre con urgenza nell’agenda politica. E laddove il ceto politico si dimostra incapace di intervenire, lo fa la Corte Costituzionale affermando “la necessità di assicurare la piena disponibilità dell’avanzo di amministrazione agli enti che lo realizzano”, e mettendo finalmente un primo netto limite agli eccessi del pareggio di bilancio che impedivano ai Comuni di utilizzare risorse disponibili in cassa.
Walter Tocco
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