Livio Schiavo: “Mio nonno Gaetano, padre di 11 figli, s’insediò a Sanluri Stato nell’anno 1930”
La sezione dell’Opera nazionale combattenti operò dal 1917 al 1990 nella sede della prima bonifica concessa da Carlo Alberto nell’anno 1838
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di Fulvio Tocco
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UN RACCONTO CHE ABBRACCIA
DIVERSE GENERAZIONI
Una vita trascorsa tra i campi e il bestiame in località Sanluri stato evoca il cuore pulsante della Sardegna rurale. Le parole di Livio Schiavo (1949) figlio di Florindo Schiavo (1906) E di Rita Facco (1905) sanno di terra, di fatiche quotidiane e di orgoglio, come un vento che porta profumi di fieno, latte appena munto e pane appena sfornato. La frazione di Sanluri stato, con il suo cuore pulsante che risale dalle prime bonifiche del milleottocento, ha custodito per generazioni un modello di vita dove ogni gesto aveva senso, ogni ruolo (anche nel gestire lo spaccio nel secolo scorso) era parte di un equilibrio naturale.
L’agricoltura e l’allevamento delle vacche da latte e di altre specie animali non erano solo mestieri, ma espressioni profonde di appartenenza alla terra.
È sorprendente come, anche nella durezza, quella vita fosse tessuta di rispetto, mutuo aiuto e saggezza popolare. Un patrimonio culturale che andrebbe raccontato e tramandato da ogni famiglia che si è insediata percorrendo le esperienze della contrattazione agraria: da coloni, mezzadri, affittuari prima di diventarne proprietari.

PREMESSA DI LIVIO SCHIAVO
Faccio parte di quei nuclei familiari che s’insediarono per primi nella località di Sanluri Stato. Mio nonno Gaetano, padre di 11 figli, s’insediò a Sanluri Stato nell’anno 1930. Prima esistevano una decina di caseggiati rurali tipici. La sua destinazione iniziale fu a Littoria ma senza conoscerne il motivo il treno lo portò direttamente a Civitavecchia per essere imbarcato per la Sardegna e inserito nell’Opera Nazionale Combattenti di Sanluri Stato. I primi abitanti della città di Littoria furono alcuni coloni che provenivano in maniera prevalente dal Friuli e dal Veneto.
Il trasferimento di mio nonno Gaetano rappresenta un capitolo importante non solo per la mia famiglia, ma anche per la memoria collettiva di Sanluri Stato. Quel viaggio nel 1930 racconta di un’Italia che cercava di risorgere attraverso iniziative come l’Opera Nazionale Combattenti, trasformando territori e vite. All’epoca nelle famiglie contadine, ogni membro aveva un ruolo preciso: il capofamiglia organizzava il lavoro, i figli si occupavano dei campi e del bestiame, e le donne gestivano la casa e contribuivano alle attività agricole. Era una vita dura, ma anche ricca di valori, solidarietà e rispetto per il ciclo naturale delle stagioni. Tradizione conservata completamente da mio padre Florindo. Ricordo che nel periodo autunnale quando si finiva di cenare si sparecchiava il tavolo e vi si rovesciava sopra un sacco di grano duro da selezionare per la semina. La stessa pratica avveniva per la selezione delle fave e dei ceci da seme. Ho dipinto con le parole una scena che profuma di terra, tempo e dedizione: il gesto semplice ma profondo di preparare il futuro attraverso le sementi. È bello pensare che quel tavolo di famiglia, in un epoca in cui non esisteva altra distrazione, appena liberato dai piatti, diventasse subito il centro di una tradizione che abbracciava la ciclicità della natura e l’impegno di una famiglia contadina. La selezione manuale dei semi, fatta con cura e pazienza da tutti i componenti racchiude una saggezza tramandata. Oggi, in un mondo così frenetico, questi gesti rischiano di andare perduti e per questo motivo che mi piace ricordali.
AL PODERE “VODIGE”
L’attività della mia famiglia parte dalla coltivazione per alcuni anni del podere “Vittoria”. Man mano che le presenze nella frazione tra chi ripartiva e chi decideva di starci si assestavano, nell’anno 1949 ci fu assegnato il podere “Vodige” di 25 ettari. Ma il terreno non era un gran che.
AL PODERE “ASPROMONTE”
Dopo la liberazione di alcuni altri poderi mio padre chiese all’ONC di essere spostato al podere “Aspromonte” di 28 ettari. Per le lavorazioni dei terreni usavamo una copia di buoi di razza sarda-modicana. E in stalla avevamo 3 vacche di razza bruna alpina. Dopo gli anni Sessanta ci allacciarono la corrente elettrica e con questa comodità, anno dopo anno, avevamo allargato la stalla sino a 30 capi di bovine di razza olandese. La trasformazione è avvenuta passo dopo passo, tra tradizione e progresso. Dai buoi sarda-modicani, robusti e pazienti che venivano da noi alimentati anche la notte, alla bruna alpina, così affidabile per la produzione di latte, fino all’espansione con le olandesi per avere una stalla sempre più produttiva.
L’EVENTO DELL’ELETTRICITÀ

Quel passaggio all’elettricità negli anni Sessanta ha rappresentato la svolta vera. Non solo per la stalla, ma per la qualità della vita in generale. Cambiarono i ritmi, le possibilità e coltivavamo anche qualche sogno in più con l’evento delle trattrici agricole. Le superfici agrarie venivano coltivate soprattutto a foraggere e a grano duro. La coltivazione dei legumi da granella era riservata soprattutto al consumo familiare. Nel podere avevamo un pozzo di 115 metri con l’acqua sempre affiorante. Poi, stranamente, dopo le siccità degli anni Novanta aveva diminuito drasticamente la sua portata.
IL DIVIETO DI STIPULARE
NUOVI CONTRATTI DI MEZZADRIA
Nel diritto italiano, la mezzadria, è stata regolata dagli Art. 2141 e ss. del codice civile, ed è stata abolita il 15 settembre 1964, con una legge, la n. 756, che vietava la stipula di nuovi contratti mezzadrili dal 23 settembre 1974, consentendo comunque la prosecuzione di quelli già in corso.
L’ACQUISTO DEL PODERE

Nell’anno 1975, con mio fratello Vittorio abbiamo deciso di acquistare il podere ricorrendo al prestito bancario della “piccola proprietà contadina”. Gli altri fratelli avevano scelto altre strade. Nel 1975, accedere al “prestito della piccola proprietà contadina” rappresentava una grande opportunità per tante famiglie della Sardegna, dove la terra è intrisa di identità e memoria. Io e mio fratello Vittorio abbiamo compiuto un gesto coraggioso e lungimirante: investire nel futuro con fiducia e senso di appartenenza. Abbiamo condotto l’attività assieme sino alla sua scomparsa.
CONCLUSIONE
L’attività agricola continua nel comparto ovino attraverso mio figlio Davide; è un’eredità che si tramanda con passione e impegno. Anche il mio supporto, quando riesco a darglielo, ha un valore importante: non solo per l’aiuto pratico, ma anche per il legame umano che rafforza.
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