di Albertina Piras
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Ales non è soltanto un paese vicino; è la sede della nostra antica diocesi, un luogo carico di memoria storica e spiritualità. Gli accordi stipulati dal Papa con la diocesi di Usellus-Ales hanno lasciato un segno indelebile nella nostra comunità evocato dalla figura del Convento delle Clarisse. Sebbene non vi siano certezze sulla sua reale edificazione, questo luogo resta un simbolo di fede e storia religiosa.
STORIA E CULTURA:
UN PATRIMONIO DA RISCOPRIRE
Il legame con Ales si intreccia anche con la cultura del nostro territorio, la Marmilla, raccontata nel libro di A. Piras e A. Sanna. Un volume che descrive i 44 paesi della regione, inclusi Villamar e Ales, e che non è solo una testimonianza storica, ma un invito a rinnovare la conoscenza delle nostre radici.
Ales, però non è solo storia locale. È anche il paese natale di Antonio Gramsci (1891-1937), filosofo, politico, giornalista e critico letterario. La casa di Teresa Anna Coni ha ospitato una mostra in suo onore, mantenendo vivo il legame con uno dei pensatori più influenti del Novecento.
LEGGENDE E TRADIZIONI:
LA MEMORIA CHE VIVE
Ma Ales non è solo storia scritta; è anche memoria orale, fatta di leggende tramandate di generazione in generazione. Tra queste, una in particolare incuriosisce: narrata da un carrettiere che faceva sosta a Villamar mentre si dirigeva verso Cagliari, continua a vivere nei racconti popolari, come un eco di un passato che non smette di parlare.
UN INVITO A RISCOPRIRE
LE NOSTRE RADICI
Tornare indietro non significa fermarsi, ma riscoprire ciò che ci ha forgiati. Villamar e Ales non sono solo luoghi sulla mappa, ma tappe di un viaggio interiore, un percorso che intreccia storia, cultura e memoria collettiva.
Invitiamo tutti a visitare questi luoghi, a camminare per le stesse strade che hanno ispirato Gramsci, ad ascoltare le leggende che ancora risuonano tra le pietre antiche. Perché conoscere le proprie radici è il primo passo per comprendere chi siamo e per costruire il nostro futuro.
IL RACCONTO
Sa fiùda aleresa
Zia Bissenticca Mainas nella vecchiaia raccontava che da giovane era molto bella ed erano tanti gli aleresi che la corteggiavano, ma lei voleva andare via dal suo paese e perciò non prese mai in considerazione le proposte di matrimonio che le facevano.
Secondo il giudizio delle donne della sua stessa età, invece, non era bella e i giovani non la corteggiavano affatto. E ancora dicevano che di fronte alla sua casa abitava un ricco proprietario che si era accorto di volersi sposare in età avanzata, quando era acciaccato e senza denti e in continuazione diceva: – Gei mia bolli coiài, gei mia bolli coiài – Come mi vorrei sposare, come mi vorrei sposare.
A Bissenticca Mainas in un primo tempo dava fin sui nervi questa specie di invocazione, ma poi ci aveva fatto l’orecchio e prendendo in considerazione le ricchezze de su signoricou Angiuliu decise di varcare la soglia del suo portone e di proporsi lei stessa come coronamento del suo sogno.
A signoricu Angiuliu non parve manco vero che una giovane gli fosse arrivata fino ai piedi, e dopo un brevissimo tempo di fidanzamento la sposò.
Il matrimonio durò poco, perché a due giorni dalle nozze signoriccu Angiuliu morì, e Bissenticca diventata vedova si trovò con una montagna di soldi tutta per lei. E in questa sua ricchezza si scordò del marito e trascorreva il tempo nell’agiatezza e nel lusso.
Passarono gli anni e una mattina, mentre ancora il paese dormiva, u carrattoneri (un carrettiere) che andava in città a vendere uova, legumi e polli, tra il cimitero e la stazione aveva visto come un’ombra avanzare dalla stradina del cimitero, dove alti cipressi vigilavano, paladini e custodi del regno dei morti. Il carrettiere fu preso dallo spavento e aizzò il passo del cavallo. Intanto la luna si liberò da una nuvola scura e illuminò quell’ombra che lo seguiva avvolta in un lenzuolo bianco.
Il carrettiere prese una scorciatoia lasciando alle spalle il paese, poi si voltò e ancora vide quell’ombra. Frustò il cavallo e superò la stazione in un attimo, ma quell’ombra era ancora là. Sulla sinistra c’era uno spiazzo, chiuso da alberi spogli, ed allora si decise: fermò il cavallo mentre il cuore e i polmoni lo costringevano a lunghi affanni.
Chiese:
– Chi sei?
Non ebbe risposta, e allora continuò:
– Anima bia ses, o anima motta?
– Anima motta – rispose quell’ombra.
– Ita mi cumandas? – chiese il carrettiere pieno di trepidazione.
Presentandosi l’ombra disse che era l’anima di signoriccu Angiuliu. Disse che la sua anima faticava a salire in cielo, perché non era sostenuta dalle preghiere dei vivi, in modo particolare della moglie, che era come se le fosse morto un cane in casa, priva di un pizzico di riconoscenza per l’eredità che le aveva lasciato. Pertanto chiedeva al carrettiere di riferire alla moglie di decidersi a fargli dire qualche messa. Così dicendo l’ombra sparì.
Il carrettiere si sentì addosso la responsabilità di questo messaggio, perciò un giorno si decise e andò a bussare al portone di zia Bissenticca.
Bussò e ribussò, ma il portone non veniva aperto e dal loggiato provenivano voci di gente in festa. Questo irritò il carrettiere e allora riprese a bussare con insistenza. Alla fine uscì zia Bissenticca, chiudendosi il portone alle sue spalle per non farlo entrare.
– Cosa vuoi? – chiese la donna.
Il carrettiere esitava:
– Se vuoi soldi, vattene, perché io non ne ho.
Il carrettiere si fece coraggio e cominciò a parlarle dell’anima del marito che aveva avuto modo di incontrarlo, ma lei lo prese per ubriaco e beffeggiandosi disse:
– Dopo che uno è dentro la fossa con un paio di palate di terra sopra, non se ne va di certo a fermare carrettieri. Presto vattene da casa mia, altrimenti “ti fazzu ponni is ferrus” (ti faccio mettere in prigione).
Così dicendo, riaprì il portone, entrò e immediatamente lo richiuse.
Mentre il carrettiere tristemente si allontanava, si udivano le urla dei festanti.
E il tempo passava e la gente diceva che strane figure scavalcavano il muro di cinta della vedova, mentre il carrettiere non incontrò più quell’ombra e viveva tranquillo in casa sua.
Una notte, però, mentre consumava la cena, sentì bussare disperatamente al suo portone. Era Bissenticca Mainas che chiedeva aiuto, perché la sua casa era infestata da dimonieddus che la rincorrevano cu is trebuzzus, con i tridenti. Ormai non trovava più riposo né giorno né notte e implorava il carrettiere di andare a riferire all’anima di suo marito che avrebbe esaudito tutte le sue richieste.
Il carrettiere le rispose che se si era salvato una volta “da motti arrepenti”, da un infarto, non si sarebbe esposto nuovamente a simili pericoli. La giovane vedova, nel sentirlo così, si rattristò e andò via.
Si dice che Bissenticca Mainas cambiò vita, che aveva intrapreso un cammino di fede e che voleva farsi santa. Pare che una volta avesse confidato a un’amica che rimpiangeva gli anni felici della vedovanza, ma che aveva dovuto cambiare vita “po curpa de is dimonieddus”, per colpa dei diavoletti.
Dal libro “La Marmilla attraverso le sue storie e le sue leggende” di Albertina Piras e Antonio Sanna, pagina 65-66.
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