Il fallimento della giunta di Pigliaru e del Partito Democratico sulla legge per il governo del territorio, sancito a pochi mesi dalle prossime elezioni regionali, è la manifestazione di un vizioso autolesionismo cui una certa classe dirigente isolana ha voluto condannare i sardi. Una storia già vista. Dieci anni fa la giunta Soru cadde anch’essa sulla legge urbanistica. È come se il Pd sia rimasto fermo a quegli anni, anche se i termini e le parti della contesa sono oggi ribaltati. Allora, Soru, da presidente della regione, rappresentava l’ala più “difensivista” in materia di norme per la tutela del territorio; sullo stesso tema, la proposta della giunta Pigliaru è stata invece di segno opposto con un disegno di legge molto più aggressivo in termini di edificabilità e di erosione del suolo. L’aspetto chiave rimane sempre quello dei trecento metri dal mare, ma le ragioni dell’attuale insuccesso risiedono anche su altre questioni, su tutte l’intenzione di accentrare in capo alla Regione tutti i poteri e i processi decisionali e la poca autonomia di programmazione concessa ai Comuni.
Il Pd è rimasto da solo a difendere questa legge, le cui ragioni sono state sostenute anche da alcuni settori del centrodestra, secondo cui la mancata approvazione della legge sul territorio frena lo sviluppo economico dell’isola. Non è un caso infatti che fino a poco tempo fa qualcuno, nel Pd sardo, abbia sondato l’ipotesi di presentarsi in una “grande coalizione” con Forza Italia che ha dovuto, peraltro, seccamente respingere ogni possibilità in questo senso. Davanti a un tale capovolgimento di posizioni rispetto al passato, i Cinque Stelle ne approfittano – erodendo significative porzioni di elettorato al Pd in vista delle regionali dell’anno prossimo – e invocano, non da soli in realtà, il “fallimento politico” della giunta Pigliaru la cui legge “avrebbe cementificato le coste e leso i diritti dei territori”. Per non parlare dei malumori dei sindaci sardi secondo cui “questo testo cala dall’alto un impianto normativo di difficile attuazione con una tendenza a privare i Comuni di competenze e risorse a vantaggio dell’apparato regionale”.
La “resa” sulla legge urbanistica si aggiunge alle incertezze di questa giunta regionale sui temi dell’occupazione e dello sviluppo, sulle politiche dei trasporti e sulla riforma sanitaria. A poco o nulla servono le rassicurazioni sulla tenuta dei conti se, infine, il sistema sanitario viene smantellato dai territori con una riforma che taglia i presidi – anche il neoeletto sindaco Pd di Iglesias ha fatto le barricate per difendere gli ospedali della sua città – e risulterà incapace di migliorare i servizi per qualità e efficienza.
A distanza di dieci anni il centrosinistra sardo arriva alle elezioni regionali ancora diviso, segnato dalle lotte interne al Pd. Oggi stupisce, tuttavia, la sfrontata autoreferenzialità di questa mediocre classe politica, completamente sorda al grido di lamento e ai segnali di malessere lanciati dai sardi. Una presunzione che rende questo Pd molto simile a Forza Italia: chi pensava a una grande coalizione non l’ha sparata grossa. E, probabilmente, se la cosa fosse andata in porto avrebbe reso un enorme favore alla sinistra sarda – finalmente liberata dalla “cappa democratica” – e alla politica isolana tutta, offrendo l’opportunità di mandare a casa un ceto politico che si è dimostrato inadeguato e incapace di governare l’Isola.
Walter Tocco
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